Già cinque anni senza Ettore Scola maestro di cinema 

Il personaggio. Da un’intervista il ricordo di un vero e proprio gigante di sceneggiatura e regia Circondandosi di attori straordinari, con i suoi capolavori ha raccontato l’Italia del dopoguerra «Ai giovani il compito di mandare avanti il mondo: agiscano con onestà, fiducia e speranza»


francesco provinciali


A cinque anni dalla scomparsa del grande regista (19 gennaio 2016)

Incontrando Ettore Scola avevo avuto l’impressione di essere al cospetto di un gigante che “aveva dato la mano” al 900: la stessa sensazione (con motivazioni e spiegazioni diverse) provata con altri testimoni del nostro tempo (Rita Levi Montalcini, Pupi Avati, il Card. Carlo M. Martini, Giulio Andreotti, Alda Merini ecc…) che in quel periodo avevo intervistato.

Persona dotata di una cultura profondissima e di una straordinaria conoscenza della tecnica cinematografica (sulla quale piacevolmente si era soffermato con esperte descrizioni) e della letteratura che la supporta e la sottende, sapeva unire a queste doti una spontanea, generosa umanità che mi aveva messo a mio agio quasi come se si trattasse di un argomentato dialogo con un interlocutore accreditato a colloquiare su temi di comune interesse.

Valorizzazione dei particolari

Un grande regista è come uno scrittore che aggiunge alla parte letteraria una trama di immagini che spiegano in senso più compiuto la storia che si vuole narrare: in questo Ettore Scola è stato maestro insuperabile perché (circondandosi di attori straordinari come Mastroianni, Sordi, Tognazzi, Sofia Loren, Monica Vitti, Manfredi, Trintignant, Giannini, Troisi ) ha saputo descrivere in modo quasi sovrapponibile alla realtà gli aspetti più caratterizzanti dell’Italia del secondo dopoguerra, penetrando la quotidianità, i sentimenti, gli amori, le passioni, il carattere della nostra gente, in quanto (uso le sue parole)… «dal neorealismo alla commedia all’italiana il nostro cinema si è distinto da quello degli altri paesi per la sua particolare attenzione alla realtà, tanto che tutta la nostra storia, dal secondo conflitto mondiale fino ad oggi è stata raccontata più dal cinema che dalla scuola. E il pubblico ha spesso riconosciuto in quei film anche la sua storia personale».

Gli avevo confessato che mi colpiva e mi intrigava nei suoi film la sua abile capacità di ambientazione, anche in contesti intimi, ristretti, quasi teatrali, dove riusciva a far emergere i profili psicologici dei personaggi, e insieme a questo lo sfondo, la cronaca che richiama la Storia e dal particolare riesce a descrivere i grandi avvenimenti valorizzando i gesti, le azioni e i vissuti di personaggi che ne sono il corollario: spiegare e far capire il tutto partendo dai dettagli. Avevo posto alla sua attenzione queste osservazioni con una certa titubanza, malcelando l’incompetenza dello sprovveduto dilettante ma con sicurezza che mi sorprese mi rispose: «I due aspetti che lei evidenzia li riconosco come miei interessi prevalenti e forse caratterizzanti. Sono tendenze istintive, personali. Ciascuno ha le sue. Lei dice che nei miei film “ognuno ritrova una parte di sé”. Non so se sia vero ma so che è stata questa l’ambizione che ha – quasi sempre – animato le cose che ho fatto. Non avendo soverchia fiducia nella mia autobiografia ho tentato allora di interpretare qualche tratto del sentire collettivo in alcune autobiografie dello spettatore».

Ci eravamo soffermati su alcune sue “pellicole” famose, come “Una giornata particolare”, di cui mi diede descrizioni e aneddoti legati ai personaggi interpretati da due primattori “unici” come Mastroianni e la Loren.

Uomo retto

Sbobinando la cassetta registrata gli avevo restituito il testo scritto (prima di mandarlo in pubblicazione) che conteneva un breve passaggio elogiativo verso la sua persona. Mi telefonò chiedendomi di togliere quel “complimento”, facendomi intendere di non amare le sviolinate e le manfrine. Avevo ben capito che si trattava di un uomo retto, tutto d’un pezzo, rigoroso, intimamente onesto con se stesso e verso il mondo.

Onestà, fiducia, speranza: le parole giuste per i giovani

Mi piace ricordare le sue parole conclusive, quasi una sorta di testamento spirituale.

«Tocca ai giovani – non fosse altro perché il loro futuro è più lungo – mandare avanti il mondo. Progetto ambizioso e oggi forse più che mai difficile per una generazione che non sembra avviata a godere di particolari vantaggi: l’eredità non è succulenta, i punti di riferimento e i modelli sono scarsi, la circolazione delle idee è caotica e non si capisce perché – visto che in realtà di idee ne circolano così poche… Le ideologie hanno tutte superato la loro data di scadenza, quanto ai ‘fulgidi esempi’ neanche a parlarne… Ma chissà che proprio in questo deserto culturale i ragazzi non riescano a rintracciare qualche vantaggio? Scegliere per loro stessi alcune parole meno imbrattate da un uso sconsiderato? Vecchie parole che tornino nuove, parole semplici del tipo onestà, pulizia, fiducia, speranza. Parole che procurino pensiero, che portino ad agire, che diventino esse stesse programma».













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