“Ita Est”ultimi giorni Lois Anvidalfarei ha lasciato il segno 

L’intervista allo scultore. «L’esperienza al Parco dei Cappuccini è stata importante» Sedici anni fa l’artista aveva proposto di collocare una statua proprio lì e non se ne fece nulla «La stessa diffidenza che vedo oggi verso frequentatori del parco, all’epoca toccò il mio lavoro»


Corinna Conci


Bolzano. Si ritorna a parlare dell’ umano, con le figure dell’artista Lois Anvidalfarei. Fino a sabato 18 maggio è ancora visitabile la personale “Ita Est” negli spazi della Galleria Alessandro Casciaro, in via Cappuccini a Bolzano. Bisogna dunque approfittare degli ultimi giorni di vedere una mostra che ha lasciato il segno.

Si tratta di opere scultoree che rispondono alle emozioni più ancestrali con una segno rassicurante, quello del corpo, che ci connette tutti - ancora prima di nascere - con una manifestazione di uguaglianza. Nelle opere di Anvidalfarei si parte dalla posizione fetale del genere umano, quella dalla quale si prende la forza per uscire alla vita, la stessa che usiamo da adulti per riposarci. Nel percorso estetico e filosofico dell’artista troviamo le posture con le quali si va nel mondo, i gesti dell’esistenza, caratteristici tanto del nostro senso antico quanto di quello contemporaneo. Le figure di Anvidalfarei provengono così dal ritmo della natura, dal quale prende il tempo il nostro respiro, la nostra crescita, la nostra guarigione. Lo spazio del Parco dei Cappuccini, opportunità per la città di esperienze d’arte in un luogo a contatto con il verde, è stato già in passato ospite di mostre ed eventi. In questa nuova occasione il giardino vede in esposizione il lavoro degli ultimi vent’anni di Anvidalfarei, dimostrandosi scenario perfetto. Grazie anche alla volontà del gallerista di cimentarsi in nuovi progetti, la proposta di esporre opere d’arte in questo spazio all’aperto nel cuore del centro storico si rivela vincente su diversi livelli. Lois Anvidalfarei, con il suo pensiero profondo, ci ha spiegato meglio di cosa si tratta.

In occasione dell’ inaugurazione della mostra è stata presentata una performance musicale del compositore Eduard Demetz dal titolo “Tempo separato”, pezzo scritto appositamente per le sue sculture ed eseguito dal conTakt percussion group (Manfred Gampenrieder, Philipp Höller, Georg Malfertheiner e Christian Miglioranza). Come è nata la collaborazione con Eduard Demetz?

Per il trentesimo anniversario della scoperta della caverna delle Conturines, luogo d’eccezione per le mie sculture, Eduard Demetz è venuto a visitare la mostra installata tra l’interno e l’esterno della montagna. Ne è rimasto affascinato e le mie opere lo hanno ispirato per la composizione che poi è stata incaricata dal Museum Ladin. Le sculture sono state lasciate all’ interno della Caverna delle Conturines anche l’anno seguente, così nel 2018 è stata presentata la prima assoluta di “Tempo separato” in un’ atmosfera davvero particolare: a 2.800 metri di altitudine, con il suono dell’acqua che gocciolava lungo le pareti interne e dal soffitto della montagna, davvero suggestivo. Gli strumenti sono stati portati a piedi dai musicisti, la scelta doveva essere compatibile con le temperature, non erano perciò strumenti a fiato ma a percussione.

Come ha reagito il pubblico durante la presentazione musicale live a Bolzano?

Le persone hanno sentito che la performance faceva parte della mostra, che era integrata completamente e non accompagnatoria. Si tratta di un pezzo molto forte, dove Demetz ha inserito anche le parole di Erri De Luca scritte per questa installazione. Demetz ha composto la musica cogliendo perfettamente i concetti che stanno dentro l’opera intitolata “Integra”, che vede due sculture collegate l’una all’ altra: la prima rappresenta il feto nel ventre della Madre Terra, e la seconda racconta ciò che è fuori dalla nascita nel mondo. (mostra l’individuo lanciato, quasi scaraventato nel mondo).

Per “Ita Est” si è deciso di collocare le sue opere in due allestimenti, uno all’ interno della galleria e l’ altro all’ esterno...

È un’iniziativa interessante, che la galleria mi ha proposto. La mostra è molto estesa, poiché sono esposte una ventina di sculture e otto disegni. All’interno della galleria abbiamo scelto di mettere in mostra opere del 2017 e del 2018, sculture con dimensioni più ridotte di quelle posizionate nel giardino dei Cappuccini. Qui troviamo opere di grandi dimensioni (fino ad una lunghezza di 5,40m per 3m di altezza). Nel parco abbiamo deciso di installare opere create negli ultimi venti anni, delle quali la maggior parte sono esposte per la prima volta a Bolzano.

Per quale opera prova un affetto particolare?

“Der verlorene Sohn” (“Il figliol prodigo”) è per me un’ opera particolarmente importante. Sedici anni fa avevamo proposto questa scultura nel Parco dei Cappuccini, installandola esattamente nello stesso posto dove l’abbiamo posizionata ora. Purtroppo una lunga serie di polemiche ci costrinsero a togliere l’ opera dal giardino. Vorrei ricordare a questo punto l’amico Karl Spitaler, l’architetto che progettò il giardino nel quale volle inserire questa scultura. Purtroppo lui è venuto a mancare nel 2006, dedico a lui questa mostra, poiché ha avuto ragione quando mi ha detto:”La tua scultura tornerà in questo giardino tra qualche anno”.

La poetica delle sue opere è connessa alla natura e in questa occasione si esprime appieno nello spazio del parco dei Cappuccini. Come ha vissuto questa possibilità espositiva?

La scultura in generale è il medium che si presta al meglio anche per l’esterno, in questo caso anche spazio pubblico; così il mio lavoro si trova direttamente a contatto con la natura e con tutti quelli che frequentano il giardino. Oggi il Parco dei Cappuccini soffre purtroppo di una situazione di chiusura, perché c’ è diffidenza nei confronti di chi lo frequenta, perlopiù immigrati. Questa situazione mi ha ricordato le vicende relative alla mia scultura, che all’ inizio era percepita come “foresta”, estranea. In lingua ladina noi definiamo “forest” un forestiero. Ora la mia opera è stata conosciuta e accolta, e non è più forestiera, perché si trova a stare dove prima non poteva rimanere. Imparare a non avere paura dello sconosciuto senza avversione: questo è quello che mi auguro possa accadere, innanzitutto tra gli esseri umani.















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