“L’Indiano e il bambino” il nuovo libro di Comina 

Freschi di stampa. L’autore bolzanino alle prese con un lungo racconto per bambini “Dedicato a Sepulveda e Agnes Heller”. Le illustrazioni dell’altoatesino Giuliano Salvaterra


Marzio Terrani


Bolzano. È dedicato al romanziere cileno Luis Sepulveda e alla celebre pensatrice ungherese Ágnes Heller, il nuovo libro di Francesco Comina dal titolo “L’indiano e il bambino che imparò ad amare”. Un lungo racconto per bambini - uscito proprio in questi giorni per Gabrielli Editori - interamente ambientato in Alto Adige e illustrato dal pittore bolzanino Giuliano Salvaterra.

«A Luis Sepulveda – si legge nella prima pagina del libro - e alla sua irrefrenabile fiducia nel potere dei sogni: sogni di gabbiani che imparano a volare e di gatti che fan muovere le ali, sogni di poeti che amorizzano il mondo e di narratori che lo salvano; sogni di bambini che insegnano ai grandi a non avere paura. Questo racconto è un frammento imperituro del sogno», «ad Ágnes Heller a cui raccontai questa storia dopo una nuotata nel Lago Maggiore». E ancora alla memoria di Chico Mendes e di Berta Caceres, l'ambientalista uccisa spietatamente in Honduras il 3 marzo del 2016. Il libro è una favola moderna, un racconto che vede come protagonisti, Matteo, un bambino timido dal viso squadrato ma dalla grande volontà di conoscere e Bep, un indiano Kayapò arrivato in una valle chiusa del Sudtirolo per amore. E poi c'è Ingrid, la figlia del farmacista del paese, una ragazzina audace, coraggiosa e ferma nelle sue idee che accompagna Matteo alla ricerca dell’ indiano su cui girano infinite malelingue. Altri personaggi, come il bibliotecario Stanislao, uomo goffo e pieno di saggezza, si stagliano prepotentemente nel racconto. La favola di Comina racconta l'innocenza della vita. Non quella perduta nella notte dei tempi. Ma una innocenza nuova, moderna. Gli occhi piccoli di un bambino vedono altri occhi più grandi e diversi. Ne rimangono soggiogati. Mentre cammina su un sentiero di montagna Matteo scorge, improvvisamente, l'indiano che fa delle movenze strane. Ha paura ma rimane ostaggio di quel volto estraneo, rimosso alla vista degli altri. I pregiudizi, i preconcetti, i sospetti di una comunità vanno improvvisamente alla malora.

«Incontrare un uomo significa essere tenuti svegli da un enigma» disse il filosofo lituano Emmanuel Lévinas. E così accade a Matteo. Non si può conoscere solo per sentito dire. La conoscenza è esperienza diretta, concreta, fisica, personale. L’uomo conosce attraverso una relazione, un incontro. Ma per entrare nel cuore dell'umanità ci vuole uno spirito innocente: la curiosità. Quando si mette in moto, la curiosità spinge, a briglia sciolte, verso la libertà. E così Matteo si muove, insieme a Ingrid, verso il maso dove vive l'indiano e di cui si raccontano ogni tipo di cattiveria e falsità. Già la casa è affascinante e terrificante perché è costruita intorno a un albero proprio a ridosso dello Sciliar, la grande montagna simbolo dell'Alto Adige. L'incontro rasenta l'horror perché l'indiano si presenta tutto sporco di sangue. Ma la faccenda si chiarisce subito: il cavallo dell'indiano era appena scivolato in un fossato e si era ferito per cui Bep aveva dovuto lavorare per tirarlo fuori dal buco. Bep invita i due bambini a stare con lui nelle case e così, improvvisamente, ci si catapulta nel meraviglioso mondo degli indios Kayapò, fra miti, simboli, storie, riti vicende della storia del suo popolo. L'indiano racconta il suo amore per Rosa, una giovane donna tedesca conosciuta durante una spedizione di antropologi nella foresta; la lotta furibonda con il capovillaggio che disapprovò quel bacio; la fuga disperata verso l'Italia; l'amicizia con Jakob Ziller, un poeta di madrelingua tedesca passato per Dachau; il viaggio estenuante fin sulle montagne dell'Alto Adige; la spiritualità indigena, piena di misteri...

“Dios no mata”, Dio non uccide è la frase tatuata sul polpaccio dell'indiano che prorompe con la lingua di fuoco del serpente. Una frase che meglio di altre. rappresenta lo spirito del racconto: «Dio non uccide, perché Egli è il creatore delle cose e della foresta, lo spirito della Pachamama, della madre terra, che non si compra e non si vende, il Dio della solidarietà e del rispetto dell'alterità, il Dio della nonviolenza e della giustizia».

Francesco Comina è giornalista professionista e scrittore. Da sempre interessato ai temi della pace e dei diritti, ha coordinato per dieci anni il Centro per la pace del Comune di Bolzano. Ha seminato amicizie con alcuni grandi testimoni e maestri del nostro tempo, di cui ha raccontato le vicende e le visioni in vari libri fra i quali, Il sapore della libertà. In dialogo con Marcelo Barros (2005), Qui la meta è partire. In dialogo con Arturo Paoli (2005), Il monaco che amava il jazz. Testimoni e maestri, migranti e poeti (2006), Sulle strade dell’acqua. Dramma in due atti e in quattro continenti (2008), Il cerchio di Panikkar (2011), Monsignor Romero, martire per il popolo (2016), L’uomo che disse no a Hitler. Josef Mayr-Nusser un eroe solitario (2017).













Altre notizie

Elezioni

Comunali a Laives, 180 candidati in 12 liste

Sei in lizza per fare il sindaco: Claudia Furlani, Sara Endrizzi, Giovanni Seppi, Emilio Corea, Matteo Gazzini e Bruno Ceschini. Uniti per Laives (34) si conferma la lista più nutrita, M5s e Team K (8) le più scarne


Massimiliano Bona
Il funerale

L'ultimo saluto a don Cristelli, il prete "scomodo"

Una folla a Miola di Piné per l'addio al prete giornalista interprete del Concilio Vaticano II. Fu vicario parrocchiale a Oltrisarco e poi tra i fondatori del sindacato regionale dei giornalisti. Il vescovo di Trento Lauro Tisi: «Non sempre la Chiesa ha saputo cogliere le sue provocazioni»

 

 

Attualità