Lo sviluppo della città dalle idee e le opere di famiglie ebraiche 

La storia. Da metà Ottocento sino alle deportazioni, la comunità ebraica altoatesina ha dato un importante contributo allo slancio economico e culturale di Bolzano e dei centri limitrofi Dalle banche alle infrastrutture, passando per la musica, fino alla ditta “locale” di pianoforti


Jimmy Milanese


Bolzano. La storia recente di Bolzano, ovvero a partire dalla metà dell'Ottocento, quando la città ha iniziato a trasformarsi in un importante e multietnico centro turistico, economico e finanziario, deve molto alla presenza di una nutrita comunità ebraica che poteva vantare una importante forza imprenditoriale e capacità di attirare capitali stranieri. Una comunità, quella ebraica, la quale di lì a poco sarebbe stata brutalmente sterminata dalla persecuzione nazista e, fatalmente, questo avvenimento avrebbe impoverito di molto la vita economica e culturale della città. Sono decine, infatti, le famiglie bolzanine di religione ebraica, per decenni capaci di imprimere un segno nello sviluppo della città, che per via delle deportazioni nei campi di concentramento, o di rocambolesche fughe all'estero, hanno improvvisamente cessato di contribuire allo slancio culturale della provincia di Bolzano.

Tra queste, sicuramente, la famiglia Schwarz. In particolare, i fratelli Sigmund e Arnold, i quali nel 1876 costituirono la omonima banca con sede all'angolo tra piazza Walther e l'attuale via della Rena. Ai fratelli Schwarz si deve lo sviluppo della rete ferroviaria nell'area di Bolzano, in particolare il collegamento con la Mendola, la ferrovia dell'Oltradige, il progetto del treno della Val Venosta e il collegamento tra Mori e Riva del Garda. Non ultimo, alla famiglia Schwarz è legata la costruzione della funicolare sul Virgolo inaugurata il 20 novembre del 1907 e che all'epoca rappresentava un gioiello ingegneristico apprezzato in tutta Europa.

Famiglie molto numerose, quelle di religione ebraica residenti a Bolzano, le quali erano solite spostarsi per seguire i loro interessi, come nel caso dei Zipper. Tra questi, occupa un posto importante per il suo contributo culturale Herbert Zipper, meglio noto per essere stato l'autore della marcetta “Canto di Dachau” che Jura Soyer aveva composto in riferimento beffardo alla famosa scritta “Il lavoro rende liberi” che campeggia ancora oggi all'entrata del campo di concentramento alle porte di Monaco. Herbert, anche lui internato, contribuì al salvataggio delle vite dei celebri quattordici musicisti che a Dachau suonavano a comando per le SS. Invece, parte della sua famiglia residente a Parigi riuscì a scappare dalle persecuzioni naziste grazie alla intercessione del suocero di Woodrow Wilson che da commissario delle Filippine invitò gli Zipper a Manila. Per gli altri componenti, alcuni residenti a Merano, invece, non ci fu niente da fare, infatti, vennero prelevati e trasferiti a Reichenau dove si persero le loro tracce. Proprio un Zipper, Herman, nel 1935 aveva ereditato una ingente parte del patrimonio di Arnold Schwarz, finito poi in una banca romana al centro di un caso giudiziario, ma quel tesoro non venne mai più ritrovato.

Tra le decine di ebrei bolzanini, molti dei quali deportati e giustiziati nei vari campi di concentramento, impossibile non ricordare la figura di Rodolfo Furcht. Famiglia di origini boeme, i Furcht arrivarono a Bolzano nella seconda metà dell'Ottocento e qui visse Rodolfo, il quale ben presto divenne prima venditore, poi socio della piccola ditta di pianoforti Schulze, appena trasferitasi in città da Zwickau, in Sassonia, regione caduta in una profonda crisi economica. Nel 1928, con un colpo di genio, Furcht riuscì a contattare e ingaggiare il famosissimo progettista di pianoforti Paul Pollmann, il quale si innamorò della città e acconsentì alla fondazione della “Fabbriche riunite di pianoforti Schulze, Pollmann & Co Spa” di Bolzano. Con lo stabilizzarsi in città della ditta che produceva pianoforti “tedeschi” molto richiesti in Italia, a Bolzano si trasferiscono decine di lavoratori specializzati nella produzione di pianoforti verticali e a coda ad un ritmo che superava le sessanta unità per mese, per una forza lavoro di centoventi persone. Il modello “135 Italia”, pubblicizzato grazie a un giro per l'Italia a bordo di una Fiat Balilla la quale faceva tappa in ogni paese, era richiesto in tutto il mondo, tanto che tra gli acquirenti si registrano i reali di Casa Savoia e prestigiosi conservatori nazionali. Tra gli ultimi modelli prodotti, il “110” rimase in commercio fino al 1966 e venne acquistato dall'ultimo imperatore d'Etiopia, quel Hailé Selassié tanto caro a Bob Marley e al suo movimento rastafariano. L'azienda di pianoforti bolzanina non smise per un secondo di puntare a proporre il meglio sul mercato, infatti, nel suo negozio in via della Mostra, aperto il 17 dicembre del 1930, si potevano acquistare apparecchi radiofonici, radio-giradischi, grammofoni e quanto di più avveniristico ci fosse in commercio. Fu la storia, ancora una volta, a prendersi il sopravvento su una vicenda che aveva portato Bolzano al centro del mondo. Infatti, ancora prima dell'emanazione delle prime leggi razziali, era l'autunno del 1937, nel drammatico consiglio di amministrazione di fabbrica del 25 settembre, Rodolfo fu costretto a lasciare l'azienda, si disse, su pressione dell'ingegnere Bruno Frick, il quale aveva accusato Furcht di amministrazione sciagurata. All'epoca, Frick dirigeva il sindacato fascista provinciale delle professioni tecniche e già si parlava di arianizzare le posizioni apicali dell'economia nazionale. Ma con l'entrata in vigore delle leggi fasciste, stessa sorte capitò a Frick, quindi, la fabbrica venne sottoposta al controllo “italiano” del direttore Mario Mascagni il quale aveva appena fondato il conservatorio Monteverdi. Nel pieno della guerra, era il 1943, con le truppe tedesche che controllavano il Sudtirolo, Mascagni si rifiutò di obbedire all'ordine di convertire la fabbrica alla produzione bellica. Anche per questo, venne catturato e torturato. Oggi, la Schulze Pollmann trova sede a San Marino, ma sono ancora centinaia i pianoforti “bolzanini” che ancora suonano perfettamente in tutto il mondo, ricordando un periodo della storia nella quale Bolzano era all'avanguardia in molti settori della vita economica e culturale del paese.













Altre notizie

Attualità