Luigi Serravalli, l’intellettuale inquieto

Una vita tra Alto Adige e Trentino “fagocitando” tutto quello che sapeva di cultura, dalla filosofia al cinema


di Carlo Andreatta


BOLZANO. Un secolo fa, esattamente il 27 marzo 1914, a Bologna, nasceva Luigi Serravalli. Critico d’arte (del giornale “Alto Adige”, ma molti lettori non hanno dimenticato i suoi interventi sul “Trentino” e quelli apparsi su riviste specializzate), esperto di cinematografia (presidente onorario della Federazione Italiana dei Cineclub), narratore, per una “stagione” anche poeta (pubblicò “Nostro esilio”, una raccolta di 42 poesie, componimenti apprezzati da Ezra Pound). Il suo stile era scabro, senza fronzoli, decisamente particolare. Laureato in Filosofia (allievo di Galvano della Volpe), per molti anni fu docente di Storia dell’Arte, Italiano e Storia a Merano (dove è stato pure addetto Stampa dell’Azienda di Soggiorno). Nel 1956 giunse a Rovereto e insegnò Lettere all’Istituto Magistrale “Fabio Filzi” fino alla pensione (1978). Apolide del pensiero, intellettuale versatile, Serravalli ha conosciuto - durante la sua lunga vita - Hemingway, Pound, Peggy Guggenheim, Ungaretti, Quasimodo, Depero, Guttuso. Curioso, caustico nei giudizi, a volte irriverente nelle battute, era un accanito sostenitore del compito conoscitivo proprio della Letteratura. Senza esagerare, credo che qualche bella generazione di studenti (ora uomini e donne integrati - a vario titolo - nella società civile) sia stata “conquistata” e nutrita dalle sue lezioni, da quel suo riuscire a mescolare storia, filosofia, letteratura, arte, politica, cinema e teatro. Serravalli non fu mai un nostalgico legato ad un determinato periodo storico, più che altro amava le avanguardie, quelle più eterogenee. Parlava con una voce calma a cui univa improvvise impennate scherzose. Sempre con pacatezza. Spesso fingeva di non possedere un io: sapeva andare al di là delle bagattelle personali. Eccentrico e originale nel vestire, amava le camicie sgargianti, i copricapi particolari, i trench, le giacche a quadri e, in inverno, lo si incontrava con l’immancabile sciarpa rossa. Viaggiatore intelligente e soddisfatto, perché, come affermava Erodoto, il senso della vita sta nel viaggiare, viaggiare per conoscere, per capire. Luigi ha sempre letto moltissimo, un vero lettore di professione: “fagocitava” opere in versi e in prosa munito di raffinati strumenti critici. Giungeva prima di altri a scoprire autori nuovi o a riscoprire quelli dimenticati. Prediligeva, in particolare, due grandi autori: Thomas Mann ed Ernest Hemingway. Da alcune conversazioni, ho capito che Serravalli riusciva ad entrare nei testi in modo singolare, li riproduceva nella sua mente aggiungendo tesori alle intuizioni che già abitavano nel suo intelletto. Serravalli è sempre rimasto fedele ai suoi principi etici, alla sua fede politica, ma, nel contempo, era uomo libero: e come le persone libere, non schierate, cercava le novità in ogni campo, dal cinema alla letteratura, dalla filosofia all’arte. A volte reagiva con una boutade fulminante quando sentiva salire nel suo animo l’afflizione dovuta al banale chiacchierio quotidiano: considerava questo chiacchierio una delle forme con cui si manifesta l’insipienza del nostro tempo, un tempo dominato da opportunismo e inautenticità. Parlando con lui, era frequente la sensazione che fosse a lato di se stesso, o altrove, e questo giuoco gli procurava una grande velocità di pensiero e di ilarità intellettuale. In alcuni momenti la sua mente appariva passiva; nei suoi occhi si intravedeva l’ombra di uno scrittore, di un antico saggio, di un mistico: Musil o Conrad, Gurdjieff o Plotino, Menandro o Plauto, Schopenhauer o Meister Eckhart, Aristofane o Poe. La confusa, minacciosa, indistinta realtà, sovente diventava per lui uno spettacolo di illusioni e di buffonerie, come è il mondo per il monaco che osserva il “panta rei“ dalle montagne del Tibet. Questo mondo teatrale gli piaceva. I suoi apoftegmi - talvolta sulfurei - lo proteggevano. E, allora, la penetrazione della sua mente diventava acutissima: gettava occhiate rapide e balenanti sulla realtà; ne traeva ritratti e motti di spirito che nessuno avrebbe dimenticato. Nel fondo, Serravalli era impenetrabile. C’era, forse, un territorio della sua anima del tutto inaccessibile. Legatissimo al Trentino, all’Alto Adige, Serravalli spesso parlava anche delle sue origini romagnole. Luigi si trovava bene ovunque potesse leggere, scrivere, guardare un film, analizzare un’opera d’arte. Sapeva intervenire sui più disparati argomenti che spaziavano nei secoli: dall’età di Pericle alla rivoluzione copernicana, da Cartesio alle guerre mondiali, dalla fine delle ideologie ai movimenti no-global. L’ambiente culturale regionale deve molto a questo straordinario ermeneuta delle costellazioni umane: giovani artisti e aspiranti scrittori - non solo locali - hanno trovato in Serravalli attenzione e appoggio. E’ impossibile scordare lo sguardo di Serravalli, il suo tratto ispirato, la sua parola mordace: in un modo o nell’altro, Luigi comunicava sempre quello che pensava. Possedeva una nobiltà di gesti unica, straordinaria: affascinava senza pronunciare parola. Non si scomponeva mai, sublimava il dolore dell’esistenza con la conoscenza e con l’ironia, a volte con il sarcasmo: strana fusione di saggezza, di indifferenza, ma anche di umiltà, di levità, di compassione. Sembrava insieme Milarepa, Lewis Carrol, il simposiarca di un’eresia medioevale. Luigi Serravalli è venuto a mancare il 16 novembre 2002.

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