Museion, alla Casa Atelier la fragilità firmata Vanello 

L’installazione site-specific. Ultimo giorno per la serie di gruppi scultorei fatti di tessili Attraverso una materiale “corrotto” attraverso la tecnologia, il tentativo di parlare dell’esistenza


CORINNA CONCI


Bolzano. Dentro un materiale corrotto attraverso la tecnologia, emerge la vita e la sua fragilità. Ancora per oggi, venerdì 31 maggio, è visibile negli spazi di Casa Atelier di Museion l’opera di Luca Vanello a cura di Alessandra Tempesti. Il centro di ricerca per l’ arte, il design e la cultura tessile “Lottozero”, fondato a Prato dalle bolzanine Arianna e Tessa Moroder presenta una serie di tre appuntamenti, dedicati ciascuno ad un intervento site-specific di un/un’ artista e accomunati dalla ricorrenza dell’elemento tessile. Vanello (Trieste, 1986) è il primo ad aprire questi progetti site-specific che indagano le ragioni per cui il fattore tessile riveste un ruolo significativo e pregnante nella ricerca artistica contemporanea. L’installazione di Vannello dal titolo “Tired Eyes Dislike the Young”, è composta da diversi gruppi scultorei che satellitano nell’universo tematico dell’eternità e del suo opposto. Insieme all’artista abbiamo approfondito le molte sfumature di questa ricerca.

L’opera mostrata a Casa Atelier indaga le dinamiche emotive e le strategie psicologiche attivate dal processo di elaborazione del lutto. Perché la scelta di questo tema delicato?

Nel mio lavoro mi interessa indagare i cicli della nostra esistenza: scoprire un parallelo tra i cicli dell’essere umano con i cicli della materia e come queste due cose si compenetrano e si relazionano. La perdita di una persona fa parte di uno dei passaggi del nostro esistere. Del lutto mi interessa il processo emotivo di accettazione per chi rimane, l’elaborare questa mancanza, e quanto di questa mancanza diventi fisica. La materia, gli oggetti acquisiscono una forza predominante che prima non avevano. In quest’opera ho guardato non solo gli elementi personali come gl’indumenti di chi non c’è più, ma anche il ruolo che hanno le tecnologie odierne nel cercare di dare risposta o supporto a domande inerenti questo tema.

Di questo processo fa parte anche il tentativo dell’uomo di controllare il tempo, che lei traduce attraverso diverse manipolazioni della linea temporale dei materiali. Di cosa si tratta?

Mi interessa lo sforzo dell’uomo nel controllo del tempo, che da sempre porta ad un inevitabile fallimento. Nel mio lavoro applico un’alterazione della linea temporale degli oggetti e altre forme materiche attraverso processi di inversione, accelerazione, sospensione. In mostra ci sono vari materiali che hanno subito questi processi e che diventano processi scultorei. L’opera si compone di indumenti, conservati per più di 10 anni dal compagno di una persona che non c’è più: questi vestiti hanno subito un’inversione dei tessuti per essere riportati all’elemento iniziale. L’idea che sostiene questo processo è quella di tornare al potenziale della materia. Gli altri elementi che compongono il lavoro sono alcune piante alle quali è stata tolta la clorofilla: il processo qui crea una pausa dove il ciclo vitale viene sospeso togliendo ciò che darebbe possibilità alla crescita di continuare. Come esempio di accelerazione del tempo ho raccolto uno strumento che viene usato nel processo di rigenerazione del tessile. Usando un catalizzatore, l’ossidazione dell’oggetto viene accelerata e cambia aspetto durante l’arco della mostra.

La parte della sua installazione incentrata sul tessile è stata sviluppata in collaborazione con Lottozero. In cosa consiste nello specifico il processo di rigenerazione con cui si producono nuove fibre dal riciclo di abiti usati?

Con Lottozero abbiamo iniziato una serie di collaborazioni con aziende locali a Prato che lavorano con la rigenerazione tessile. Siamo partiti da un processo basilare di selezione tra elementi organici e non organici che possono o meno essere rigenerati. Il lavoro si focalizza attraverso macchinari che riaprono e sfibrano gli indumenti producendo una specie di ovatta divisa per colore. Queste fibre vengono trasformate prima in filo e poi in tessuto. Mi interessava trovare un modalità in cui la fibra potesse ricomporsi attraverso il processo industriale e umano. Credo che l’unico modo per mantenere una memoria più a lungo non sia conservandola in spazi asettici o isolati dagli effetti del tempo, ma la distribuzione più totale: continuare a farle prendere altre forme, funzioni, narrative, attraverso nuove vite indipendenti.

Una specie di reincarnazione animica per quanto riguarda l’esistenza ...

Si qualcosa di simile. E lo stesso discorso si può fare sul digitale. Come conservare l’informazione? La cosa che ha più senso è la riproduzione, la distribuzione dell’informazione diventa più efficace del tentativo di conservazione in spazi protetti. C’è quest’idea di lasciare la materia libera di riprendere le proprie vie.

Quindi per quanto riguarda l’elaborazione del lutto, questo processo emerge nella distribuzione dei ricordi all’interno dei vari oggetti ma anche nella continua modificazione interiore dell’essere umano..

Ci sono molti parallelismi tra come funzionano le nostre emozioni e come funziona la materia. L’idea di trasformazione sta nell’adattamento, nel continuo movimento, dove la vera stabilità non esiste. Accolgo l’idea dell’accettazione del flusso quotidiano delle nostre emozioni, perché questo è il nostro modo di funzionare nell’ambiente e ciò che ci aiuta a funzionare anche in un momento di estrema difficoltà come può essere il lutto. Cercare di seguire questo flusso porta a una enorme crescita quando ci si rende conto di aver raggiunto un nuovo stadio del proprio essere.













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