Un grande Toni Servillo per uno spettacolo coraggioso

bolzano. “Elvira (Elvire Jouvet 40)”, spettacolo in scena fino a domenica al Teatro Comunale di Bolzano per la stagione curata dal Teatro Stabile, ha una storia particolare. Si tratta di un testo...


Massimo Bertoldi


bolzano. “Elvira (Elvire Jouvet 40)”, spettacolo in scena fino a domenica al Teatro Comunale di Bolzano per la stagione curata dal Teatro Stabile, ha una storia particolare. Si tratta di un testo elaborato nel 1986 dalla regista Brigitte Jacques basandosi sugli appunti stenografati da Charlotte Delbo relativi a un ciclo di sette lezioni tenute dal grande attore francese Luois Jouvet al Conservatoire National d’Art Dramatique di Parigi nel 1940. Siamo al tempo dell’occupazione nazista. Il maestro sta affrontando con tre giovani allievi, tra cui spicca Claudia, una scena del “Don Giovanni” di Molière, precisamente quella in cui Elvira, la moglie tradita e abbandonata, scappa dal convento in cui si è rinchiusa per raggiungere l’amato Don Giovanni, non per maledirlo, ma per farlo redimere dai peccati commessi. L’apprendistato artistico è severo e impegnativo, soprattutto per Claudia, considerata una promessa del teatro. Jouvet vuole far convergere nelle lezioni di mera tecnica la rivelazione della forza del sentimento e della passione, che l’attore deve trovare e sviluppare in sé per scoprire e rivivere le sfaccettature del personaggio. Queste prove-lezioni conobbero un tragico epilogo. I nazisti vietarono lo spettacolo; a Claudia, riconosciuta nell’attrice ebrea Paula Dehelly, fu impedito di esercitare il mestiere, mentre Jouvet lascò in fretta la Francia fino alla fine della guerra. Questo spettacolo potrebbe sembrare un pedante esercizio di stile. Ma così non è. Affrontato per la prima volta da Giorgio Strehler nel 1986, il testo di “Elvira” oggi ritrova il suo splendore grazie alla magistrale regia e interpretazione di Toni Servillo. Nello spettacolo si respira l’atmosfera di una vera e propria prova teatrale, senza il ricorso all’artificio o alla retorica, appoggiandosi piuttosto alla “naturalezza” del regista/pedagogo. Il dialogo di Servillo/Jouvet con la brava e volonterosa allieva Claudia/Petra Valentini affiancata da Sganarello (Davide Cirri) e dall’imperturbabile Don Giovanni (Francesco Marino), avviene su una scena con pochi accessori: una pedana rialzata, un tavolo di regia, qualche sedia bianca in contrasto con nero dominante, le prime file della platea liberate e sostituite da panche metalliche.

In questo spazio, illuminato da luci tenui per suggerire l’ambientazione in un teatro vuoto, si consuma il lavoro dell’attore che indaga su se stesso guidato dagli insegnamenti del maestro che tiene vive la fatica, l’ansia e il dubbio, la tensione affinché sia raggiunta la bellezza e la perfezione dell’arte drammatica. E qui sale in cattedra la bravura recitativa di Servillo che scandisce sillaba dopo sillaba ogni battuta del testo consegnato all’attrice, gioca con la gamma degli effetti e dei timbri della voce accompagnata da appropriata gestualità. L’attore napoletano trasmette forza scenica di magnetico coinvolgimento, cesella il ruolo del maestro/regista con una semplicità di rara precisione espressiva, nei gesti e nei toni della voce. Anima un gioco ipnotico che rimbalza tanto in platea quanto in Elvira/Valentini che assai bene rende la passione, le incertezze, l’ostinazione con cui affronta il monologo molièriano. Per il pubblico, oltre alla indiscussa bellezza e raffinatezza di uno spettacolo assai coinvolgente e appassionante, “Elvira” contiene in sé gli effetti di una sana e preziosa ricaduta didattica. Vedere Servillo/Jouvet spiegare le tante varianti di un gesto apparentemente banale – allungare le braccia, accelerare il passo – unitamente alle tante possibilità del tono di una battuta, apre l’universo delle possibilità e delle varianti proprie della potenza enigmatica del teatro e dell’attore. I lunghi e calorosi applausi finali del pubblico premiano uno spettacolo coraggioso e memorabile.













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