«Colpa di una nevicata» Così Francesco Toldo diventò un super portiere

Bolzano. L’ex portiere Francesco Toldo, 50 anni il prossimo dicembre, non ha bisogno di particolari presentazioni. Dalla natia Padova, via Montebelluna, ha spiccato il volo verso le giovanili di...



Bolzano. L’ex portiere Francesco Toldo, 50 anni il prossimo dicembre, non ha bisogno di particolari presentazioni. Dalla natia Padova, via Montebelluna, ha spiccato il volo verso le giovanili di Milan e Verona senza però mai arrivare in prima squadra. L’esordio professionistico al Trento nella stagione 91/92 ha segnato la sua carriera che è proseguita con successo a Ravenna tanto da guadagnarsi la prestigiosa maglia della Fiorentina. Otto anni con la Viola e quindi nove stagioni all’Inter con cui ha vinto tutto, tra cui il Triplete del 2010 per un totale di 380 partite in serie A. Senza dimenticare le 28 presenze con la Nazionale con l’acuto agli Europei del 2000 oltre al titolo europeo conquistato nel 1994 con l’Under 21 di Cesare Maldini.

Benedetta nevicata

“Come tanti ragazzini del mio paese, Caselle di Selvazzano alle porte di Padova, giocavo a calcio dappertutto e cambiando diversi ruoli tra difesa, centrocampo ed attacco. Allora il calcio per me era puro divertimento e mai avrei pensato di diventare un calciatore professionista. Un giorno ci fu una bella nevicata e mi accorsi che buttarsi per terra non era così male tanto che cominciai a mettermi in porta. Fu la svolta della mia vita. In poco tempo, nonostante fossi tecnicamente grezzo, l’allenatore dei portieri del Montebelluna Giancarlo Caporello mi prese con sé aiutando in modo decisivo la mia crescita. Ricordo che andavo a scuola alberghiera ad Abano Terme e mia madre mi portava da mangiare in un pentolino prima che prendessi il treno per Montebelluna a fare gli allenamenti sperando sempre di non arrivare in ritardo. In quel periodo facevo anche il cameriere e una volta in un ristorante di Padova ho conosciuto il mio idolo Dino Zoff al quale chiesi foto e autografo. In quel frangente capii che non bisogna mai negarsi ai tifosi ma mai avrei immaginato che un giorno l’idolo sarebbe diventato il mio allenatore...”

Tra alti e bassi

“Caporello mi sottoponeva ad allenamenti massacranti con il risultato che migliorai in modo tale che alla fine della seconda stagione al Montebelluna venni acquistato dal Milan. Nei tre anni con i rossoneri vivevo a Carnate andando a scuola a Varese ma sentivo una nostalgia canaglia per casa che avevo lasciato per la prima volta. Sono riuscito a tener duro imparando a confrontarmi con ragazzi che venivano da posti diversi e quindi migliorare sotto l’aspetto umano. Anche nel calcio cercavo di apprendere vedendo in allenamento con gli occhi sbarrati il Milan di Sacchi e degli olandesi. Ricordo che mi mettevo dietro la porta di Giovanni Galli per studiarlo meglio e lui mi regalò i suoi guanti che poi usavo esclusivamente in partita. Purtroppo il Milan non ebbe fiducia in me e mi diede in prestito alla Primavera del Verona. Rientrato in Veneto tornai a vivere dai miei a Padova e a volte aiutavo mio padre Lorenzo nella sua tabaccheria. L’allenatore degli scaligeri era il sacchiano Giuliano Sonzogni e quindi con difesa alta e portiere spesso in balia delle onde tanto che a fine anno non sapevo se continuare o smettere”.

Trento punto di svolta

“Mio padre spingeva perché rimanessi con lui in negozio quando, nell’estate 1991, ho sottoscritto il primo contratto professionistico con il Trento in C2. Ero militare a Bologna e destinato a cominciare la stagione in panchina quando, nell’esordio stagionale in Coppa Italia contro il titolato Vicenza, ci furono dei problemi di tesseramento del titolare Grilli. Allora mister Cavasin mi schierò e vincemmo inaspettatamente per due a zero. Tre giorni dopo, al Bentegodi di Verona contro il Chievo, successo per uno a zero con diverse parate tra cui un rigore a Walter Curti. La morale della favola fu che giocai tutte le partite in una squadra che sfiorò la promozione e che mi permise poi di andare al Ravenna di Guidolin a vincere il campionato di C1. Devo molto al Trento perché ha rappresentato il primo fondamentale trampolino di lancio che mi ha portato ad avere una carriera che è andata al di là di ogni più rosea aspettativa. Abbiamo tuttora una chat della squadra di allora e ricordo che abitavo in via Palermo vicino al ponte dei Cavalleggeri con Marchetto, Albasini e Mantelli. Ogni settimana mio zio Valerio da Valdastico che si trova nell’alto vicentino, da dove proviene la famiglia Toldo, mi portava a mangiare la pizza per non farmi sentire solo. Oppure mi godevo la vicinanza di un altro fratello di mio padre e cioè lo zio Guido che per quarant'anni è stato maresciallo dei carabinieri a Bolzano dove vive tuttora suo figlio Roberto. Dal capoluogo altoatesino viene pure il mio amico, collega ed ex compagno di squadra all’Inter Paolo Orlandoni mentre, quando lavoravo con l’Under 20, ho avuto modo di conoscere e apprezzare l’attaccante del Südtirol Manuel Fischnaller”.

La gloria tra Fiorentina e Nazionale

“Come dicevo prima ho fatto una carriera che non mi sarei mai aspettato ma quando giochi non ti godi niente perché la competizione ti porta a non pensare a quello che stai ottenendo. Le promozioni con Ravenna e Fiorentina, i successivi anni positivi con la Viola tanto da meritarmi la Nazionale e con essa la possibilità di vincere un Europeo Under 21 mi facevano esclamare «che spettacolo!» ma la soddisfazione più grande era rendermi conto che a certi alti livelli potevo tranquillamente starci. Con la Nazionale ho quasi sempre fatto la riserva togliendomi grandi soddisfazioni all’Europeo del 2000 quando il ct era proprio Dino Zoff. Tutti hanno in mente i rigori parati in semifinale contro l’Olanda, ma credo che rimanga più nell’immaginario dei tifosi anche perché ho fortunatamente disputato altre buone partite. Inoltre, non per fare lo spaccone, ma avevo immaginato il giorno precedente che le cose sarebbero andate in quel modo e credo che quella sera nessuno mi avrebbe segnato! Se invece vogliamo proprio parlare di gol vorrei essere ricordato per quello che ho realizzato in mischia alla Juve con l'Inter nel pareggio del 2002, anche se venne dato a Vieri, perché ero sicuro di farlo tanto che dissi a mister Hector Cuper che sarei andato in area per sfruttare quel corner anche senza il suo permesso”.

L’ Inter nel destino di famiglia

“Quando aveva dieci anni mio padre scrisse una lettera a Giuseppe Meazza, ex gloria calcistica allora capo del settore giovanile nerazzurro, chiedendogli cosa avrebbe dovuto fare per diventare un futuro giocatore dell’Inter. Inaspettatamente il gentilissimo Meazza gli rispose invitandolo ad aspettare qualche anno quando sarebbe stato più grande e avrebbe avuto le idee più chiare. Allora il piccolo Lorenzo non sapeva che quasi cinquant’anni dopo avrei io realizzato il suo sogno entrando a San Siro con la maglia dell’Inter nello stadio intitolato a Giuseppe Meazza! Il mio straordinario rapporto con l’Inter è durato quasi vent’anni equamente divisi tra campo e scrivania. All’inizio in porta e poi dalla panchina ho sempre dato il mio contributo alla causa fino alla trionfale stagione del Triplete con José Mourinho alla guida. Avevo un altro anno di contratto ma, a quasi quaranta primavere, ho deciso di rimanere in società con incarichi che guardavano più al sociale che al campo da gioco. Con la famiglia di Massimo Moratti, nella persona della figlia Carlotta, abbiamo realizzato il progetto Inter Campus con lo scopo di realizzare, attraverso il calcio, l’integrazione sociale di bambini che vivono in posti meno fortunati. Ricordo i viaggi in vari paesi africani, in Venezuela o in Cambogia dove non c’era niente e il calcio rappresentava un formidabile aggregatore sociale. Come soprattutto tra i bambini israeliani e palestinesi che giocavano allegramente prima dell’intervento dei genitori i quali non accettavano questa fratellanza rovinando così ogni sforzo fatto. Con l’uscita di scena della famiglia Moratti dall’Inter si è conclusa questa esperienza e allora, dopo l’avventura di allenatore di portieri di Nazionali giovanili, mi sono inventato Inter Forever coinvolgendo tanti ex giocatori nerazzurri con i quali abbiamo organizzato partite ed eventi di beneficenza in Italia e all’estero. Nel 2019 è terminato anche questo progetto che ha segnato la fine del mio rapporto con l'Inter”.

Tra presente e futuro

“Da un paio d’anni ho staccato con il calcio dedicandomi principalmente alla famiglia. A parte questo seguo comunque le partite soffermandomi ovviamente sui portieri. Parlando di quelli italiani di serie A me ne piacciono molti e tanti di loro li conosco bene perché li ho allenati quando ero in Under 20 e 21 del mio ex compagno di squadra Gigi Di Biagio. Dai più conosciuti come Perin del Genoa e Cragno del Cagliari a quelli meno pubblicizzati come Montipo’ del Benevento e Provedel dello Spezia. Se penso anche a Donnarumma e Meret siamo in buone mani per il futuro della porta della nostra Nazionale. Per il resto, parlando di extra calcio, a Padova ho fondato una società che costruisce case a prezzi concorrenziali partendo dall’acquisizione del terreno fino alla consegna delle chiavi ai proprietari. Ho a disposizione un bel team e diamo lavoro a molti fornitori cercando sempre di coniugare praticità e rispetto per l’ambiente”.

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