«Cosa mi manca di più? Vivere le mie montagne e il brivido del Palaonda» 

Hockey. Il difensore del Bolzano vive in Val di Fassa, una delle zone più colpite dal Coronavirus «Spero di restare coi Foxes per proseguire il lavoro che abbiamo dovuto lasciare quest’anno»


Thomas Laconi


Canazei. Ai fassani togliere la libertà di godersi quelle montagne perfette, veri capolavori della roccia come il Sassolungo, le Torri del Vajolet, oppure la Marmolada, i paesaggi e i boschi incantati, fa male, malissimo. Torneranno i momenti magici e tutto allora sarà ancora più bello, affascinante. Adesso però, anche agli abitanti di uno dei posti più belli al mondo spetta il compito di stringere i denti e restare uniti e compatti, di fronte ad un nemico misterioso ed agguerrito. In Val di Fassa i casi per abitante sono sei volte di più che a Trento ed è di gran lunga il territorio con più casi di coronavirus in Trentino. A Campitello e a Canazei, dove Stefano Marchetti e la sua famiglia sono nati e cresciuti a pane e hockey, è stata superata la soglia critica del 2%.

«Dopo Pasqua tutti noi dovremo sottoporci a dei test del sangue, che ci aiuteranno a fotografare ancora meglio la situazione. Speriamo che queste verifiche sanitarie ci aiutino a tornare presto alla normalità».

Pippo guarda al presente, torna indietro ripercorrendo una stagione, quella del suo Bolzano, che avrebbe potuto consumare anche un altro epilogo esaltante. «Non sapremo mai come sarebbe finita – sorride – ma nessuno potrà mai togliermi dalla mente un pensiero che avevo cominciato a coltivare con insistenza: alzare ancora una volta quel meraviglioso trofeo».

Stefano Marchetti, in Val di Fassa l’emergenza Coronavirus ha avuto effetti ancora più negativi rispetto al resto del Trentino. Come vive questo periodo di paura e ansia?

«Siamo alle prese con un grave problema di emergenza sanitaria, in valle abbiamo registrato un tasso di casi più alto rispetto alla media del territorio trentino. Il fatto di vivere in una “zona rossa” non mi ha sconfortato, perché credo che un momento difficile come questo vada vissuto con serenità e coraggio. Certo, lo scenario, almeno nella vita quotidiana, è desolante: le strade sono vuote, la gente però ha capito il momento e segue le regole. Per le strade le zone di accesso alla valle sono costantemente presidiate dalle forze dell’ordine. Nonostante questo, però, non abbiamo certo perso la speranza di superare tutto questo».

Come vive le sue giornate in quarantena?

«Sto riuscendo a fare quei piccoli lavoretti che solitamente, durante la stagione, sono sempre costretto a rinviare. Vivo in una mansarda nella casa di famiglia, non posso lamentarmi perché abbiamo tanti spazi da godere tutti insieme. Quando mi sveglio alla mattina alzo gli occhi e posso ritenermi fortunato a godermi le mie montagne. Ecco: nella sfortuna di avere incontrato questo “nemico”, penso di ritenermi fortunato. Il dramma, dal punto di vista sociale, lo stanno vivendo quelle famiglie italiane costrette a vivere in spazi angusti, in povertà, con il rischio di non arrivare a fine mese per mancanza di liquidità. Ecco: questi sono i veri problemi di questo brutto periodo».

Riesce a tenersi in forma anche in questo periodo?

«Insieme a mio fratello Michele (attaccante e capitano dei Fassa Falcons) restiamo attivi, io personalmente sfrutto alcuni corridoi vicino a casa per farmi una corsetta, poi facciamo esercizi fisici, anche con secchi di acqua da 25 litri, e cerchiamo di vivere le giornate con microobiettivi. Abbiamo una famiglia molto unita, me la sto godendo e questo mi fa stare molto bene».

A proposito di obiettivi: il Bolzano che ha lasciato era pronto per raggiungere il traguardo più bello?

«Sono realista. Se guardiamo il tabellone dei playoff era pieno zeppo di squadre super-attrezzate. Noi eravamo cresciuti tanto e rispetto al filotto di dieci vittorie filate, eravamo consapevoli che in ognuna di queste gare avevamo sempre meritato il successo. Ireland ha portato la sua idea, il suo credo e ognuno di noi ha messo davanti il gruppo, che è sempre stato speciale. Non sono un mago, ma ho cullato il sogno di rivincere la Ebel, perché eravamo pronti per giocarcela con tutti».

Lei è un leader dello spogliatoio: quanto le manca il suo bunker?

«Mi manca soprattutto la routine quotidiana. Vivere ad Appiano, svegliarsi alla mattina in mezzo alle campagne ammirando lo Sciliar, andare al Palaonda per l’allenamento, entrare in spogliatoio, un villaggio nel quale facciamo gruppo tutti insieme. Mi manca tutto questo, anche il semplice pensiero di dover salire in bus per affrontare una trasferta lunghissima. Questo è l’hockey, è la mia passione, la mia vita».

Tornerà a godersi tutto questo?

«Finché Dieter Knoll non mi darà il benservito (ride) vorrei restare a Bolzano, magari per finire quel lavoro che abbiamo dovuto interrompere. Sarebbe bello, io sto bene nel capoluogo, amo i tifosi, l’ambiente. Per un giocatore è il top».

Quando tutto sarà finito quale sarà la prima cosa che farà?

«Un’idea ce l’avrei. Salire in macchina, andare in montagna e scendere a tutta velocità da una vetta con la bici, godendomi la ritrovata libertà. Certo, lo farei in tutta sicurezza, ma il concetto è questo: quando l’incubo sarà finito, potrò riabbracciare le mie montagne e anche i miei amici. Adesso dobbiamo tenere botta: ci vuole tempo, coraggio e tanta voglia di vivere».

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