Hockey

Da Adolf a Marco Insam lo stile è affare di famiglia

Il papà ha vinto tutto da giocatore e da allenatore e il figlio lo sta emulando Adolf: «Marco è un giocatore completo». Marco: «Papà mi ha insegnato molto»


di Thomas Laconi


BOLZANO. Nel mondo dell'hockey su ghiaccio, la generazione degli Insam è una certezza. Da una parte il padre, Adolf, che da dietro alla scrivania dei Rittner Buam continua a fare quello gli è sempre riuscito meglio in carriera, vincere, dall'altra il figlio Marco, che a Bolzano, dopo sette anni con la maglia biancorossa ha davvero raggiunto la piena maturità agonistica. La storia di una delle famiglie più vincenti di questa disciplina prosegue, attraverso tre parole chiave: umiltà, lavoro e lungimiranza.

Ci ha pensato Adolf, 65 anni di Selva di Val Gardena ad aprire il ciclo, prima da giocatore, poi da allenatore, quindi da dirigente “(da poco ho conquistato il tredicesimo scudetto della mia carriera – sorride – a vincere non ci si stanca mai”). Tutto è cominciato in Val Gardena. Adolf Insam si è imposto da subito, ha iniziato con la maglia del Selva, poi quella del Gardena e della Nazionale, vincendo quattro scudetti da giocatore, prima di aprire il lungo percorso da allenatore. Nel 1989 è arrivato il figlio Marco, il predestinato, al quale però Adolf ricorda sempre di non avere mai imposto la scelta di optare per i pattini ed il bastone.

“Quello mai – dice Adolf – Marco ha fatto una sua scelta, senza pressioni di alcun tipo. Sono contento che alla fine abbia trovato la sua strada”. La sagra degli Insam è iniziata oltre 50 anni fa. A La Pozza, piccola frazione di Selva, Adolf, insieme al fratello, inizia a masticare l'hockey su un piccolo prato vicino a casa, che in inverno si trasformava in un campetto ghiacciato di quasi 30 metri dove trascorrere le giornate. “Con il tempo mio padre sistemò anche i pali e la luce è da lì è davvero iniziato tutto”.

Marco, rispetto ad Adolf, giocatore a suo tempo molto veloce “ma anche molto individualista" – aggiunge sorridendo – ha avuto un percorso diverso, girando il mondo, prima di sbarcare a Milano e poi Bolzano, due realtà molto diverse da casa.

“Il passato non si dimentica – dice - sono cresciuto pattinando in inverno e giocando a calcio d'estate a casa, ma affrontare delle esperienze in Nordamerica è stato forse il passo più importante, perché sono cresciuto tanto e ho forgiato il mio carattere. In Val Gardena potevo scegliere lo sci, ma ho preferito l'hockey, uno sport di squadra, dove puoi confrontarti con un gruppo di compagni tutti i giorni”. Papà Adolf ricorda gli esordi del figlio: un ragazzone, con un fisico possente, dotato di un gran tiro.

“Vedevo che aveva una “botta molto potente – dice – è una caratteristica che gli è rimasta nel tempo. Marco, quando ero a Milano, è andato via per tanti anni e quando l'ho allenato non ho mai avuto problemi: era molto disciplinato, calmo, ragionava e sapeva gestire al meglio l'adrenalina e le emozioni in pista. Diciamo che ero un allenatore contento, anche se alle volte ero più severo con lui rispetto che con altri giocatori”. Marco ricorda bene il padre-allenatore e ammette: “Quando c'era da dirmi qualcosa me lo diceva davanti a tutti – dice – mi trattava come gli altri e questa è una cosa che ho sempre apprezzato di lui”. Nei due anni da coach a Bolzano, Adolf ci svela un aneddoto: “A Dieter Knoll – spiega – chiesi subito che Marco vivesse da solo, e non casa con noi – dice – una scelta precisa, per mantenere il giusto equilibrio in spogliatoio". Oggi, Adolf e Marco si incrociano soprattutto al Palaonda, dopo le partite del Bolzano. “Non ho avuto tante occasioni di andare a vedere il Renon – ammette Marco – credo che dopo lo scudetto possano giocarsi fino alla fine anche il titolo in Alps Hockey League". Per Adolf, che nella tribuna superiore dello stadio del Bolzano non manca quasi mai, l'analisi sul figlio giocatore e il Bolzano è molto più semplice. “Credo che Marco abbia raggiunto davvero la piena maturità – spiega – è un giocatore completo, disciplinato, che legge molto bene ogni situazione in partita. Un giorno lo vedrei come allenatore – sorride. Sul Bolzano credo che la società abbia fatto un grande salto in avanti a livello organizzativo e di gestione, vedo tanta gente al Palaonda. La squadra fino a Natale è stata tra le più costanti della Ebel, adesso credo che sia il momento di richiamare tutti all'ordine, per affrontare con umiltà questo momento di appannamento”.

Marco puntualizza: “Se ognuno non gioca per la squadra, non andremo molto avanti. Il gruppo è fondamentale per il successo di una squadra”. La chiacchierata finisce e la domanda sorge spontanea. Marco e Adolf Insam torneranno un giorno a lavorare insieme? “Non lo so – sorride divertito Marco – non ci ho mai pensato”. Adolf conclude. “Sul ghiaccio ci va lui, io ormai sono dietro ad una scrivania – puntualizza – ma anche se lavoriamo in realtà diverse, resteremo sempre uniti. Abbiamo un grande rapporto, di questo sono molto felice”.













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