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«La vera forza di Jannik arriva dai nostri genitori»

Intervista al fratello di Sinner. Mark lavora come istruttore dei vigili del fuoco a Vilpiano. «Mamma e papà non gli hanno mai messo pressione. Quando torna a casa giochiamo a golf»


Aliosha Bona


BOLZANO. Capelli mori e occhiali da una parte, chioma rossa e venti centimetri in più dall’altra. Per capire che Mark e Jannik non sono fratelli di sangue ci vuole poco. Qualche dubbio, invece, sopraggiunge analizzando i modi di porsi: entrambi con fare timido, genuinamente impacciato, tipico di chi per una vita è rimasto più che volentieri lontano dai riflettori. Se per Sinner junior è ormai inevitabile che accada - ormai ci ha fatto l’abitudine – Mark ha la facoltà di scegliere. Quella al nostro giornale è la prima vera intervista che rilascia.

«Sono felice dei risultati che Jannik sta ottenendo, lo seguo tutti i giorni. Ma io ho la mia vita ed è rimasta uguale a prima. La popolarità non ci ha affatto cambiato». I destini s’incrociano il 16 agosto 2001, quando mamma Siglinde e papà Hanspeter danno alla luce Jannik all’ospedale di San Candido. Mark c’era. Dal giorno uno. È stato adottato dalla famiglia Sinner quando pensavano di non poter avere figli. «Sono nato in Russia 25 anni fa, a Rostov per essere preciso – riavvolge il nastro – ma mi portarono in Italia quando avevo appena 9 mesi. Di fatto è come se fossi qui da sempre». Se c’è una cosa che Mark odia «sono i trattamenti speciali». Perché l’aver condiviso la camera con il più forte tennista italiano di sempre non può essere ovviamente un merito. Ne è consapevole. Anche se vivere di rendita con i milioni del fratello sarebbe stata per molti la via più comoda. Così si è rimboccato le maniche.

«Lavoro alla scuola provinciale antincendio a Vilpiano, dove sono istruttore dei vigili del fuoco – spiega – faccio quello che ho sempre voluto fare, sulla base degli insegnamenti dei miei genitori: ci hanno spronato a impegnarci, nello studio, nello sport e nel lavoro. Ma senza pressioni. Ci dicevano: “Se avete voglia andate avanti, altrimenti lasciate stare e dedicatevi ad altro”. Non si permettevano di decidere per noi. Forse questa è stata la vera forza che ha permesso a mio fratello di sfondare».

L’infanzia Mark si definisce «ancora più tranquillo» di Jannik caratterialmente. «Com’è il nostro rapporto? Normale, immagino come quello della maggior parte dei fratelli – sorride – capitava che litigassimo chiaramente, ma facevamo pace subito. Giocavamo a tennis, ci provavo almeno. Per qualche anno sono riuscito a tenergli testa, poi lui ha spiccato il volo ed era impossibile anche solo scambiarci. In campo, come fuori, lui è sempre stato un ragazzo molto calmo. Come mamma e papà del resto».

A 13 anni Jannik è partito alla volta di Bordighera, alla corte di Piatti: «Sono abituato a non vederlo in casa, durante il Covid però è stata dura perché viaggiare era quasi impossibile e abbiamo trascorso diversi mesi lontani. Ma quando torna è bellissimo: facciamo delle passeggiate in montagna, con i miei e i suoi amici, tutta gente del posto. E quando possiamo giochiamo anche a golf. Ogni settimana dell’anno è impegnato tra allenamenti e tornei, perciò cerchiamo di tenerci aggiornati al telefono quasi quotidianamente».
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