IL RICORDO DEL TRICOLORE DEL TORINO DEL 1976

Pecci: «Lo scudetto della rimonta eravamo un grande gruppo»

BOLZANO. “Franco è un grande spaccamaroni!” Eraldo Pecci è fatto così, sanguigno, verace e dalla battuta sempre pronta. Ovviamente il messaggio rivolto dall’ex colonna di Bologna, Torino, Fiorentina,...


di Filippo Rosace


BOLZANO. “Franco è un grande spaccamaroni!” Eraldo Pecci è fatto così, sanguigno, verace e dalla battuta sempre pronta. Ovviamente il messaggio rivolto dall’ex colonna di Bologna, Torino, Fiorentina, Napoli, Vicenza ed anche della nazionale, a Franco Scomparin e gravido d’affetto, visto che la “francobollatura” applicata dal presidente delle Vecchie Glorie ha garantito alla manifestazione la presenza di un tassello importante, come quella del centrocampista bolognese.

“Partecipo volentieri al Torneo dei Fiori per testimoniare la mia gratitudine alla passione che questi signori (gli organizzatori, ndr) dedicano a questa manifestazione. Conosco Franco (Scomparin, ndr) da tanti anni, da quando era ragazzo d bottega…adesso è presidente, ma l’impegno è sempre lo stesso. Si, passano gli anni ma questa passione lo aiuta a tenersi giovane e questo, credo, sia il vero successo della manifestazione”.

La presenza di Eraldo Pecci alla trentatreesima edizione al torneo dei Fiori coincide con l’anniversario del quarantennale del tricolore conquistato dal Torino di Gigi Radice, compagine granata che in quegli anni seppe imprimere un forte marchio di fabbrica nell’evoluzione del calcio nazionale. E questo grazie anche anche ad un Pecci che disputò ben sei stagioni nel Toro, inanellando ben 154 presenze. Il frame più importante di quella esperienza è fissato dal tricolore conquistato con una prodigiosa rimonta sui cugini della Juventus. “Sono passati quaranta anni ma sembra ieri…è meno male che ci hanno chiamato quest’anno qui a Bolzano perché sono sicuro che la prossima stagione ci metteranno in un museo dedicato al Toro e non ci faranno muovere da li. Scherzi a parte…mi piacerebbe che il Toro tornasse a fare qualcosa di buono, tornasse ad essere protagonista così da far appassionare le nuove generazioni. La tifoseria granata, difatti, ricorda il grande Torino ed il nostro Toro dello scudetto targato 1976”. Uno scudetto figlio di una rimonta incredibile che fece saltare il tavolo dei pronostici. “Ad un certo punto – continua Pecci - avevamo cinque punti di svantaggio dalla Juve, improvvisamente perdettero tre partite di fila, mentre noi ne vincemmo altrettante compreso il derby. Fu li che operammo lo storico sorpasso…c’erano di fronte due grandi squadre. L’anno successivo facemmo 50 punti ed arrivammo secondi, con la Juve che vinse un punto in più. Se devo essere sincero non ho saputo apprezzare pienamente quello scudetto, quando sei giovane ed hai tutta la carriera davanti pensi che tutto ti sia dovuto. Oggi mi accorgo che è stato un qualcosa di straordinario, pensiero che si amplifica pensando al gruppo dei miei compagni, giocatori straordinari e di grande livello. Da Salvadori a Graziani, Pulici, Castellini, Mozzini…eravamo un grande gruppo che è riuscito ad imporsi in un ambiente dove per squadre come Torino o Verona non è mai facile vincere”. Il Torino riuscì ad imporsi perché portò sul terreno di gioco un concetto di calcio moderno, dettato da Gigi Radice che seppe trovare la giusta alchimia in uno spogliatoio assetato di vittorie. “Giocavamo un calcio nuovo sullo stile di quello olandese, aggredendo l‘avversario alto. Radice fu un precursore, molto bravo nell’anticipare i tempi rispetto ad altri suoi colleghi. La squadra era di livello con due come Pulici e Graziani che facevano sempre gol, eppoi con un Claudio Sala che fece un campionato straordinario. Debbo dire anche che fu un gruppo che era sempre pronto ad ascoltare ed imparare. Nella vita quelli più bravi sono sempre i più disponibili. Feci pochi gol? Dico sempre ai miei amici che vincemmo il campionato segnando 40 gol in tre: due io ed il resto lo segnarono i gemelli (Pulici e Graziani, ndr)”. A quarant’anni di distanza, negli occhi di Pecci sono nitide le immagini di quelle epiche battaglie ma anche quella di un signor mister come seppe esserlo Gigi Radice. “Il mister trovò un gruppo disponibile ad accettare il suo modo di allenare e di giocare. Fu un mister intelligente e rispettoso delle regole che valevano anche per lui. Era uno che dialogava molto anche se aveva questo modo austero di porsi, seppe porsi da protagonista in quel momento storico del calcio. Incompreso? Non credo perchè allenò tutte le maggiori squadre (Inter, Milan, Roma, tranne la Juve). Certo non era un tipo accomodabile. E’ chiaro che quando uno porta delle novità e va avanti per la propria strada trova sempre qualche ostacolo sul tuo cammino. Radice non era uno che diceva sempre signorsì al presidente, ma voleva dire anche la sua. E’ stato professionista di grande valore”.













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