Gli ultimi. i prigionieri russi in Val Gardena e in Val di Fiemme 

Villa lagarina. Nel 1915 i prigionieri di guerra sembra fossero già 27.000 in tutto il Tirolo. Erano impiegati sostanzialmente ovunque, nel lavoro nei campi o come boscaioli, ma soprattutto sfruttati...



Villa lagarina. Nel 1915 i prigionieri di guerra sembra fossero già 27.000 in tutto il Tirolo. Erano impiegati sostanzialmente ovunque, nel lavoro nei campi o come boscaioli, ma soprattutto sfruttati come manodopera coatta, nella trasformazione radicale dell’ambiente alpino in funzione dello sforzo bellico. Tra questi, molti russi e serbi. Se ne parlerà nella giornata di approfondimento, oggi domenica 24 marzo che si terrà a Castellano, nel Comune di Villa Lagarina organizzata da OBC Transeuropa, unità operativa del Centro per la Cooperazione Internazionale di Trento, nell'ambito del progetto europeo “Again never again”. Ad aprire la conferenza dal titolo “Gli ultimi. I prigionieri russi e serbi sul fronte alpino”, alle ore 16, presso il Teatro Comunale di Castellano, sarà Quinto Antonelli, della Fondazione Museo Storico del Trentino, con l’intervento “La Prima guerra mondiale tra ieri e oggi: memorie e oblii”, al quale seguirà Diego Leoni, del Laboratorio di Storia di Rovereto, con l’intervento dal titolo “L'esperienza dei prigionieri di guerra serbi e russi sul fronte alpino”. La conferenza sarà moderata da Luisa Chiodi, direttrice scientifica di OBC Transeuropa.Migliaia di persone costruirono, in condizioni estreme, forti, trincee e baraccamenti in alta quota, ma anche numerose infrastrutture, come le linee ferroviarie della Val di Fiemme e della Val Gardena, la statale della Val Badia e tratti della strada della Valsugana. Tracce della loro presenza sono rimaste nel paesaggio ma anche nella toponomastica. Basti pensare al “sentiero dei Serbi” in Vallagarina, la “strada dei russi” in Val S. Nicolò e quella sul Monte Misone, la cosiddetta “strada del sangue” nella Val d’Adige, i resti della “casa dei trògheri” (dei portatori) sul monte Valpiana, dove alloggiavano i prigionieri che servivano a rifornire il fronte in quota. Molti altri sono i luoghi di cui si è persa memoria con il passare delle generazioni."E' Marco Abram a scrivere, ricercatore di OBCT, in un suo approfondimento sul tema pubblicato il 2 novembre scorso.L'iniziativa è realizzata nell'ambito del progetto “NeverAgain: Teaching Transmission of Trauma and Remembrance through Experiential Learning”, di cui OBCT è partner.













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Valeria Frangipane

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