Il collaborazionismo sudtirolese al Museo della Shoah di Roma 

Presentazione nella capitale per “Quando la patria uccide” di Mayr e Innerhofer Jop: «Ancora nel 1995 Durnwalder si rifiutò di rilasciarmi un’ intervista su questo tema»



ROMA. Un’ altra tappa significativa della valorizzazione della Memoria della comunità ebraica sudtirolese si è svolta il 29 ottobre presso il Museo della Shoah a Roma, dove, è stato presentato il libro “Quando la Patria uccide” di Sabine Mayr e Joachim Innerhofer alla presenza del presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia, del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e di Furio Colombo. La serata è stata introdotta dal giornalista, scrittore e blogger Toni Jop che pur provenendo da Roma, vive ormai da tanti anni a Merano, e ha visto protagonisti, oltre agli autori del libro, i testimoni Cesare Finzi, Bruno Laufer, la figlia di Aziadè Gabay, Silvia Cevidali. Anche l’ attuale Landeshauptmann Arno Kompatscher e il sindaco Renzo Caramaschi avevano condiviso durante la presentazione del libro avvenuta presso il Centro Trevi “l’ operazione verità” contenuta nel libro. Toni Jop ha sottolineato come riguardo alla tragica storia della comunità ebraica di Merano ci si sia trovati in un passato anche recente di fronte ad un muro fatto di imbarazzi, omertà e rimozioni sui quali è giusto fare piena luce. Oltre 30 anni fa, ha ricordato Jop, aveva scritto una serie di articoli dedicata alla caccia di nazisti, partendo dal caso Waldheim. Era diventato amico di Simon Wiesenthal, aveva lavorato con lui a Vienna per mesi. In questo contesto aveva chiesto un’ intervista al Landeshaptmann Luis Durnwalder su quello che era accaduto in Sudtirolo durante l’ occupazione nazista e nel periodo seguito alla liberazione con particolare riferimento alla questione della persecuzione degli ebrei. Dopo mesi l’ufficio di stampa di Durnwalder nel 1995, pur essendo in corso le celebrazioni del 40° anniversario della Liberazione organizzate dalla stessa Provincia, rispose, che il Presidente preferiva non parlare di ciò che non aveva visto direttamente con i propri occhi. Eppure, ha sottolineato Jop, è necessario scavare perchè «In quel Sudtirolo bello, caldo, gioviale, morbido come una pantofola, luminoso come una stella, un personaggio come Mengele é riuscito per anni a nascondersi, vivendo, non sopravvivendo. Ci stava. Ci ha abitato. Io so in quale case sudtirolesi, case assurdamente molto per bene, Mengele ha passato delle ottime serate mangiando gulasch e bevendo birra, per anni. C’ è bisogno di complicità complessive e a tutti i livelli per nascondere un personaggio di quel peso specifico. Le radici di tali atteggiamenti sono ben descritte in questo libro». Jop ha anche ricordato il caso del Presidente del Museo d’ Arte Contemporanea di Bolzano, Karl Nicolussi-Leck, del suo passato nazista e della sua collaborazione con la rete di protezione internazionale che aveva garantito la fuga di molti gerarchi nazisti ancora negli anni ’50. Solo in occasione della sua morta avvenuta nel 2006 le sue responsabilità emersero con chiarezza. Cesare Finzi, già primario cardiologo nato a Ferrara nel 1930, ha poi,parlato dei suoi ricordi: il padre commerciante, la famiglia integrata, I parenti di Mantova emigrati prima a Innsbruck e nel 1933 a Bolzano, il giorno in cui gli ebrei fu vietato di frequentare la scuola pubblica a causa delle leggi razziali. Finzi ha ricordato come sia riuscito a sfuggire con alcuni parenti ai rastrellamenti dei nazisti grazie alla solidarietà di singoli cittadini, ma non dimentica il tragico destino toccato agli zii e ai cugini di Bolzano tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’44, Alberto Carpi di diciassette anni, Germana Carpi, splendida sedicenne, e la sorellina Olimpia, anche lei deportata e uccisa ad Auschwitz, tra le prime e più giovani vittime della Shoah: «Non aveva nemmeno quattro anni questa grande nemica del Terzo Reich». Da anni Cesare Finzi è impegnato a incontrare studenti nelle scuole con la speranza che la sua testimonianza possa servire da antidoto contro i fanatismi. Nel gennaio 2019 ritornerà a Bolzano per incontri a diverse scuole superiori e medie. Bruno Laufer, figlio del commerciante Oskar Laufer, nato nel 1937 a Vienna, ha raccontato di come la famiglia nel 1938 fuggì da Vienna a Merano e nell’agosto del 1938 venne inclusa nel censimento degli ebrei soggiornanti in Italia. Nel luglio del 1939 la famiglia dovette abbandonare anche la Provincia di Bolzano e Bruno Laufer sopravisse nascosto da contadini italiani.













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