l’intervista »GINO PAOLI A RUOTA LIBERA

BOLZANO. Sessant’anni di carriera, 44 album, una valanga di premi tra festival e riconoscimenti vari, milioni di dischi venduti: Gino Paoli è un monumento vivente della canzone d’autore italiana. E...


di Fabio Zamboni


BOLZANO. Sessant’anni di carriera, 44 album, una valanga di premi tra festival e riconoscimenti vari, milioni di dischi venduti: Gino Paoli è un monumento vivente della canzone d’autore italiana. E dunque possiamo tranquillamente parlare di evento nel caso del suo concerto previsto al Teatro Cristallo di Bolzano il 23 ottobre nella rassegna “Racconti di musica” dell’associazione “L’Obiettivo”. Lo abbiamo intervistato.

Precedenti altoatesini, anche non musicali? Ricorda qualche concerto o qualche vacanza?

«Ho dei bellissimi ricordi degli stupendi paesaggi delle montagne di Corvara. I miei figli hanno imparato a sciare su quelle piste».

Martedì prossimo al Cristallo con Danilo Rea: con quali canzoni? Prevarrà il filone firmato Gino Paoli, quello dedicato alla chanson francese o quello legato a Napoli?

«Non abbiamo una scaletta fissa: ci mettiamo d’ accordo “all’incirca” e poi seguiamo l’ ispirazione del momento. Sicuramente ci saranno le mie canzoni, ma non mancheranno incursioni nella canzone francese e napoletana. Ci sarà un pezzetto di me e un pezzetto di Danilo, delle nostre storie musicali, che poi si incontreranno. In effetti come è successo a noi due nella realtà».

Prima in tour con Enrico Rava e poi con Danilo Rea: come nasce la passione per il jazz e come il progetto assieme al noto pianista?

«Il jazz mi accompagna da sempre, da quando a 12 anni ascoltai la tromba di Louis Armstrong dai carri armati americani parcheggiati davanti casa mia. Sono sempre stato un appassionato ascoltatore ma anche esecutore, quindi la scelta di andare sul palco con un jazzista è naturale».

È dal 2007 che collabora con i migliori jazzisti italiani, ma ha poi scelto il minimalismo della formazione in duo. Un nuovo modo di proporsi e di mettersi in gioco, più rischioso, più nudo di fronte alla musica e al pubblico. Ha cercato lei un’ altra strada o l’ ha trovata per caso?

«La collaborazione con Danilo è stata frutto del destino: non l’ ho cercata, è capitata. Un incontro di quelli che capitano una volta nella vita. Anche se siamo molto diversi, ci accomuna un’ alchimia che ci fa capire al volo, oltre ad una simile visione della musica. Ma continuo a lavorare con tanti jazzisti, negli ultimi mesi ho fatto anche tanti concerti insieme al Tri(o)kalà con Rita Marcotulli, Alfredo Golino e Ares Tavolazzi».

In 55 anni di carriera due momenti memorabili. Riesce a scegliere?

«No, non riesco proprio a fare una scelta... Diciamo in generale, che sono stato molto fortunato».

Musicalmente, eravate “quattro amici al bar” (diciamo: Tenco, Bindi, De Andrè, Paoli) ed ora è solo. È la musica a farle sopportare la solitudine artistica?

«Per me sono gli amici di una vita, di cui ho nostalgia. Eravamo molto affiatati anche se tutti diversi. Pensando a loro, e aggiungo Bruno Lauzi, mi emoziono ancora. E cerco di portare un loro ricordo nei miei concerti».

E recentemente ha dovuto piangere la scomparsa di Charles Aznavour, del quale aveva tradotto alcuni successi. Che cosa aveva di speciale?

«Ho sempre avuto simpatia e grande stima per lui. Nonostante fosse un uomo piccolino, dall’ apparenza insignificante, aveva una forte personalità, era affascinante. È stato un esempio per noi cantautori, insieme agli altri chansonnier: sono stati i primi a pensare che la musica potesse essere una cosa seria, ci hanno dato un riferimento per la musica di qualità».

Alcuni grandi cantautori hanno scelto la pensione (Guccini, Fossati). Lei ha scelto di cantare ad oltranza o pensa a un buen retiro?

«Credo ci sia sempre altro da fare e da sperimentare. Ho molti progetti in mente e al momento sto lavorando al nuovo album che si chiamerà “Canzoni interrotte”».

In passato ha fatto politica militante ed è stato parlamentare del PCI. Oggi, finita l’era delle ideologie, lo rifarebbe?

«Dalla mia esperienza parlamentare ho imparato che il linguaggio della politica necessita di una capacità di mediazione e compromesso, che non è esattamente il mio forte...».













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