Da Equitalia 44 mila euro da pagare per un funerale



Armando Tognon con la cartella di Equitalia

Armando Tognon con la cartella

La burocrazia non ha sentimenti, è un rullo che può calpestare la vita delle persone. Ne sa qualcosa Armando Tognon, 69 anni, pensionato, travolto dalla sera alla mattina da uno “Tsunami” da 44 mila euro. Glieli ha chiesti Equitalia per ripianare i debiti col fisco del fratello morto due anni fa.
La storia - se vogliamo - parte da lontano. Dal 1956. Quando lui e i fratelli Pasquale e Giuseppe restano orfani. «Io avevo 9 anni, Pasquale 11 e Giuseppe 12». I tre fratelli vengono divisi e affidati alle sorelle della madre. E prendono strade diverse. Giuseppe va in Francia, dove muore nel 2001. Armando lavora per 40 anni come operaio rotativista. Pasquale si arrangia, lavori saltuari fino a quando non apre per qualche anno tra il 1998 e il 2004 un laboratorio da calzolaio in via Sassari. Nella primavera del 2013 Pasquale si ammala, un tumore. «La sua malattia - racconta Armando - ci ha ravvicinati». Pasquale è solo al mondo. Niente moglie nè figli. Vive ancora con la vecchia zia che ormai ha 103 anni. Armando lo accudisce nelle ultime settimane di vita, lo porta prima alla Bonvicini, poi al Centro lungodegenti di Firman, dove Pasquale, il 4 maggio del 2013, muore.
Armando è l’unico sopravvissuto della sua famiglia, e l’unico erede di Pasquale.
Ci sono le spese del funerale da coprire a altre cose da sistemare. Pasquale non era ricco ma ci sono 900 euro di ratei dell’Assegno di cura da riscuotere. Tognon si rivolge al Caaf delle Acli per essere seguito nelle pratiche di successione. Gli chiedono una serie di documenti e 198 euro per la prestazione. «Qualche giorno dopo mi chiamano. Mi dicono che è tutto a posto». Tra i documenti c’è anche la dichiarazione dell’Agenzia delle entrate da cui risulta che Pasquale aveva 5 mila euro su un conto postale. Armando si fida e firma le pratiche. Incassa i 900 euro dell’assegno di cura, liquida il conto in posta, rientra delle spese che aveva sostenuto per il funerale per il fratello. E fa pure una donazione alla Lega tumori in sua memoria. Tutto a posto?
Non proprio. Due anni dopo, il 13 febbraio 2015, alla porta di Armando Tognon bussa Equitalia. «Cosa mi vengono a chiedere - penso - ? Cosa vogliono da me?». La risposta è in un plico di carte alte così. E’ la famigerata “cartella”. Armando scorre in fretta, poi riparte, pagina per pagina, rilegge con calma. Fa i conti. Ci sono 44 mila euro da pagare. Suo fratello Pasquale per 6 anni - dal 1998 al 2004 - non ha pagato Inps, Iva e Inail. Contributi evasi a cui si sono aggiunti negli anni gli interessi di mora. «Sono rimasto di sasso - non ci credevo -, mio fratello non mi ha mai detto niente», dice Armando.
Il punto è che Pasquale, chiuso il negozio, risultava nullatenente. E il debito si è accumulato. E così, con una firma in buona fede sulla pratica di successione, ora Armando ha ereditato una montagna di debiti.
Tognon ha chiesto spiegazioni alle Acli, senza ottenere risposta. «Eppure ho pagato per la loro consulenza, io nono sono un avvocato. Sono un operaio. Come hanno fatto a non accorgersi che doveva tutti quei soldi?». Si è rivolto agli avvocati della Cisl che gli hanno consigliato di lasciar perdere. «Se fai causa, ci lasci un occhio della testa». Le Acli avrebbero dovuto aggiungere una postilla, il cosiddetto “beneficio d’inventario”, per garantirlo da brutte sorprese. «Ma adesso è troppo tardi»
Paradossalmente, l’unica che lo aiutato davvero è un impiegata di Equitalia, Silvia. «Mi ha spiegato come fare a farmi almeno togliere gli interessi passivi. Se tutto va bene - ma i conti li ho fatti io - il debito scende da 44 mila a 27 mila euro...». Sia come sia, la vita di Armando e di sua moglie è cambiata. »Dovevo rifarmi i denti, e adesso non ci penso più. Ho una pensione di 1.800 euro al mese, se iniziano togliermene un quinto, non so come farò».
Armando Tognon è fatto di quella pasta vecchio stampo, di quelli che se ritardano una bolletta di un giorno, gli viene la tachicardia. Figuriamoci adesso che è praticamente condannato a vita a risarcire il fisco. «Ci vorranno anni per chiudere questa storia». La voce si spezza in gola. «E se mi succede qualcosa? Da chi va Equitalia, da mia moglie? Da mia figlia».













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