Sanremo, non sono solo canzonette



Avanguardia. Fotografia. Proiezione. Specchio. Realtà allargata. Emozione. Delusione. Repulsione. Ossimoro: una cosa e il suo contrario. Quante cose è Sanremo. Un festival della canzone diventato per una settimana lo spartito di ogni dibattito, di ogni contestazione, di ogni rappresentazione, almeno all’apparenza anche di ogni emozione. Al posto delle note - che pure sono destinate a rimbalzarci nei pensieri a lungo, in consueti tormentoni che ci trascineranno fino all’estate - le parole. Quelle delle canzoni. Quelle di chi parla d’amore. Di pace. Di guerra. Di dignità. Di temi vicini e lontani. Di ricordi, di progetti, di dolori.

Denuncia e leggerezza. Eterna altalena che ondeggia fra nostalgia, gioia e rabbia. Dividendo. Com’è consueto nell’Italia di oggi. Un tempo il festival si seguiva o non si seguiva. Oggi lo si ama o lo si odia. E si guarda comunque, anche se magari di nascosto. E se non si segue, t’arriva addosso ugualmente. Per qualcuno è come il volo a metà nel cielo sbagliato di cui parla Pino Mango nella canzone riportata coraggiosamente sul palco dalla giovanissima vincitrice di questa edizione:  sua figlia Angelina. Per altri è sentir cantare al rapper Ghali - con una forza fatta di coscienza e di denuncia - «sono un italiano vero». Per altri ancora ha gli occhi della mamma di Giogiò, il musicista ucciso a Napoli o lo sguardo pieno di sorrisi e di condiviso e dolcemente sfrontato dolore di Giovanni Allevi. Entusiasti e critici sono stati una settimana sulla stessa barca, attraccata ovviamente nel porto di Sanremo. Ad aspettare i trattori, per dar voce ancora una volta alle tante Italie che passano dal palco e che il palco legittimamente lo usano per mandare messaggi. Ad aspettare i grandi vecchi della musica italiana, simboli anche di un diverso modo di usare le canzoni per parlare al Paese. Ad aspettare chi abita in mondi ormai paralleli, nei quali si fatica a vivere al confine fra reale e virtuale. Ad aspettare le grandi star di ieri e di oggi che per un giorno arrivano sull’uscio di casa. Travolti da Travolta -l’errore/orrore forse più clamoroso, per ragioni diverse, del Sanremo 2024 -, da tante star e dai segni di un tempo che per qualcuno passa e che per altri sembra non passare mai. La buona notizia è che da oggi si torna all’Italia reale, quella di chi fa fatica, quella di chi non sa cosa farsene di eterne promesse, quella di chi ogni giorno rema al meglio anche nel mare aperto delle contraddizioni di quest’Italia bella e impossibile. La cattiva notizia è che dividersi (o abbracciarsi) sulle canzonette in fondo è innocuo. Farlo invece sui problemi gravi, senza mai ritrovare una sintesi comune, è un danno di cui ancora si fatica a calcolare il peso.













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