La storia

Sarbjit, simbolo delle donne che vogliono spiccare il volo 

È arrivata a Egna nel 2009, dove lavorava il marito da tempo. «Poi ho fatto tre figli e nel mezzo ho studiato l’italiano, raccolto mele, fatto pulizie ma anche la mediatrice culturale. Ora ho un negozio mio». «L’integrazione al femminile? C’è ancora un po’ di strada da fare»


Massimiliano Bona


EGNA. Sarbjit Kaur (per molti in paese solo “Sonia”), 39 anni ben portati, 3 figli in età scolare, un marito e un sorriso contagioso è il simbolo delle donne che vogliono spiccare il volo. Viene dal Punjab, una regione geografica dell’Asia meridionale, posta a cavallo della frontiera tra India e Pakistan. È arrivata a Egna, nel cuore della Bassa Atesina, nel 2009 e non sapeva mezza parola di italiano. Ma già allora sognava di fare business, di affermarsi con una propria attività. Adesso, a 12 anni di distanza, ci è riuscita aprendo un negozio di spezie e alimentari sotto i Portici. Ma la strada non è stata certo in discesa.

Come sottolinea il vicesindaco di Egna Giorgio Nones «lei, in paese, è considerata il vero simbolo dell’integrazione. Ha frequentato i corsi di lingua, ha partecipato a numerose iniziative, anche con la famiglia, e adesso è riuscita a ritagliarsi il suo spazio». Non c’è da stupirsi che all’inaugurazione del suo negozio vi fossero anche la sindaca Karin Jost e il vicesindaco, che - assieme ad altri - l’hanno accompagnata in questo percorso. Come molti studi, anche recenti, hanno dimostrato la vera integrazione si raggiunge solo se si riesce ad arrivare al cuore delle famiglie straniere, ovvero alle donne.

Complimenti Sarbjit. Ha coronato il suo sogno. Soddisfatta?

Molto. La strada è stata lunga ma non mi sono mai demoralizzata. Sapevo bene dove avevo intenzione di arrivare. Ora sono la padrona di casa di un negozio che propone spezie e alimentari della mia terra, l’India.

Come ha fatto a trovare i soldi per questa piccola impresa?

Misono data da fare. E poi ho potuto contare su un contributo importante da parte di mio fratello.

Se non siamo indiscreti quanti soldi le sono serviti per avviare la sua attività commerciale?

Ventimila euro. Una cifra importante ma imprescindibile per iniziare a fare business.

Facciamo un passo indietro. Da quanti anni è in Italia?

Adesso sono 12. Sono arrivata con il matrimonio. Mio marito, che lavora nel settore del riciclaggio, era qui da molto prima. Poi abbiamo formato una famiglia.

Quanti figi avete?

Tre. Il più piccolo deve compiere i 6 anni. Otto quello di mezzo e 13 il più grande.

E loro come se la cavano a scuola?

Bene, per fortuna. Assorbono gli insegnamenti come spugne. Sanno bene italiano, tedesco e naturalmente l’indiano, che resta la loro madrelingua. Sono cresciuti qui, pertanto l’impatto con il resto della comunità è stato assolutamente soft. A Egna sono di casa.

Quando lei è arrivata qui quante parole sapeva di italiano?

Praticamente nessuna. Era una lingua straniera a tutti gli effetti, che però sapevo di dover imparare bene per uscire di casa e farmi capire. Ho un carattere estroverso, mi piace stare in mezzo alla gente e confrontarmi. Questo ovviamente mi ha aiutato non poco. Poi mio marito sapeva già l’italiano e per questo è stato facile progredire.

Ma ha fatto anche dei corsi mirati?

Si, diversi. Non me ne sono perso uno. Chi non riesce a farsi capire difficilmente riesce a mettere in piedi un’attività.

E il tedesco?

Ho scoperto solo in un secondo tempo quanto fosse importante la seconda lingua. Ho iniziato diversi corsi ma tra una gravidanza e l’altra non sono mai riuscita purtroppo a concludere un ciclo intero di lezioni.

In mezzo è anche riuscita a lavorare un po’.

Si, ho raccolto mele nei campi per qualche mese e anche quella è stata un’esperienza assolutamente formativa.

Per le donne straniere esiste un problema di integrazione?

Come per ogni cosa non si può generalizzare ma sicuramente la questione va posta.

È solo una questione culturale?

In parte lo è sicuramente. Nella nostra cultura ci sono mariti che non gradiscono che le mogli abbiano un lavoro. O anche altre attività ricreative o sociali fuori casa. In linea di massima le donne devono occuparsi della casa e dei figli.

Molte donne, in Bassa Atesina, sono qui da oltre dieci anni e faticano ancora a esprimersi. Le pare possibile?

Ci sono donne, ed è giusto sottolinearlo, a cui va bene così. Preferiscono governare la casa e crescere i figli. E quando escono lo fanno con qualche connazionale.

C’è anche una questione finanziaria?

Trovare un proprio spazio senza avere disponibilità economiche non è facile. L’indipendenza, anche per le piccole spese, è fondamentale. Ma non è la sola cosa.

In che senso?

Bisogna volerlo fortemente. Poi diventa tutto possibile. Magari non subito e magari non facilmente.

Si sente un modello di riferimento?

Sono onorata di poterlo essere. Ma non mi sento di dire che tutte le donne straniere arrivate in Alto Adige desiderano imboccare la stessa strada...

Un sindaco della Bassa ha dichiarato: «Stanno, quasi sempre, a casa, anche per motivi religiosi e culturali, e non si confrontano con la realtà locale. La vera sfida è riuscire ad intercettare le donne». Concorda?

«Sì, ma è una sfida da vincere assieme».













Altre notizie

Attualità