disturbi alimentari

A disagio con il proprio corpo: una su 10 ha meno di 14 anni 

Il coordinatore dell’ambulatorio di via Cassa di Risparmio Manuel Nicolè: «L’età delle pazienti si abbassa». Mancano posti per il ricovero dei bambini in struttura. «Dopo due o tre anni la malattia può diventare cronica»



Bolzano. «Già a otto-dieci anni cominciano a manifestarsi in modo precoce i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. La prevalenza è femminile, parliamo di nove casi su dieci. Soprattutto per quanto riguarda anoressia e bulimia». È il report di Manuel Nicolè, psicologo, psicoterapeuta e sessuologo, coordinatore dell’ambulatorio disturbi alimentari del Centro di psicoterapia e psicosomatica di via Cassa di Risparmio. Una struttura gestita dalla cooperativa Città azzurra in convenzione con l’Asl dove ogni anno si contano 100 ingressi di persone tra i 14 e i 50 anni d’età. «Su circa 300 pazienti, una trentina sono bambine e bambini», specifica Nicolè, ospite nella redazione dell’Alto Adige, «Si nota un aumento dei disturbi psicologici e psichiatrici, in particolare di quelli alimentari, anche del 30%, accompagnato dall’aumento di ansia e depressione».

Perché l’età si abbassa?

I problemi alimentari sono multifattoriali. Possono essere determinati da una famiglia disfunzionale, così come dalla società della performance e dell’apparenza. Le più colpite sono persone con un’autostima molto bassa che trovano nel controllo del peso qualcosa cui appigliarsi. Nei disturbi alimentari riscontriamo sempre una percezione del corpo distorta. Il funzionamento cerebrale è diverso. Però hanno un ruolo anche l’ambiente in cui cresciamo e i social media. Le persone con disturbi dell’alimentazione perdono hobby, passioni, desideri.

Il Covid ci ha lasciati più soli?

Spaventate, le persone hanno cercato appigli, trovandoli a volte nel controllo dell’alimentazione.

Gli interessati sono consapevoli di potersi rivolgere ai servizi ?

Generalmente vengono inviati dai colleghi dell’ospedale o su segnalazione degli insegnanti, o sono i genitori a farsi avanti. Il singolo viene per lo più se è maggiorenne. Si rende conto che qualcosa non va. Ma non è detto che sia disposto a cambiare.

È una questione di performance sportiva o di emulazione?

È tutto un insieme. Non c’è la capacità di gestire la frustrazione, di mettersi in gioco, per paura del giudizio altrui. La società trasmette l’idea che una persona debba essere bella ed efficiente. Può accadere che gli stessi genitori soffrano di un disturbo alimentare, riconosciuto o mai diagnosticato, che spingano molto sulla prestazione.

Poi ci sono i social.

Dove personal trainer e nutrizionisti improvvisati fanno danni.

Si verifica anche in Alto Adige la carenza di medicinali che tolgono il senso della fame?

Qui il fenomeno non è emerso. L’estetica cambia con la società. Oggi viene idealizzato un corpo magro, scolpito. Ma a un certo punto subentra la malattia, perché la magrezza “non è mai abbastanza”. Lì comincia il dismorfismo corporeo di una persona che non si vede mai magra.

È vero che in chi ne ha sofferto, un disturbo alimentare rimane latente per tutta la vita?

Alcuni studi dimostrano che dopo due o tre anni il disturbo è cronico. Uno specialista non formato in disturbi alimentari corre il rischio di rendere cronici i pazienti. Il cervello è plastico, ma non torna mai completamente allo stato pre malattia.

Che rapporto c’è tra la magrezza autoimposta, il sesso e il desiderio?

Dove è centrale il peso, il desiderio non trova spazio. Lo stesso accade per la socialità. Inoltre si tende a ritenere accogliente un corpo più florido, che ricordi l’idea di maternità e che aiuti il concepimento.

Come si riesce a restituire passioni e desideri a chi soffre?

Dobbiamo lavorare sul senso di inadeguatezza, aiutare i pazienti a vedersi come persone adeguate, persone che possono essere amate e che possono fallire. Lavoriamo sull’autostima. Spingiamo le persone a socializzare, a mettersi in situazioni che per loro possono essere sfidanti.

Che cosa succede quando la malattia è cronica?

Abbiamo in carico persone croniche da diversi anni. Vengono seguite da una équipe multidisciplinare. Non si può pensare di aiutare una persona con disturbi alimentari senza un dietista che le spieghi qual è il valore dei diversi nutrienti. Il dietologo invece fa una valutazione di tipo medico.

I posti sono sufficienti?

L’apertura di Villa Eèa, in via Carducci, è dovuta proprio a questo. Sta diventando un problema capire dove ricoverare i bambini. Le colleghe hanno notato l’età abbassarsi negli ultimi dieci anni. A Bolzano per il momento la Pediatria regge, ma servirebbe qualcosa in più. Una bambina di 9 anni ha esigenze diverse da una trentenne. S.M.

 













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