Alto Adige, Peterlini: «La Stella alpina è in continua virata verso destra»

Il senatore ammette che il suo partito sta andando a destra. «Ma accade anche perché il centrosinistra è debole»


Giancarlo Ansaloni


BOLZANO. «Ragiono con la mia testa, nel partito lo sanno e non mi chiedono di votare in un modo o nell'altro, rispettano la mia autonomia. E allora non si può non rimarcare come la Stella alpina sia in continua virata verso destra». Così il senatore Oskar Peterlini riferendosi al dialogo tra Svp e governo. «Ma questo accade anche perché il centrosinistra è debole», ancora il senatore eletto nel collegio Bolzano-Bassa Atesina pure con i voti di alcune forze politiche del centrosinistra, tra cui il Pd. Senatore Peterlini, l'Obmann del suo partito afferma che sarebbe meglio andare ad elezioni anticipate. Che fine farà il suo seggio, dato che lei non si ricandiderà? «Questo è un rebus. L'ultima volta sono stato eletto solo con il contributo di una parte del centrosinistra. Vedrei bene Elmar Pichler Rolle al mio posto, dato che è conosciuto anche nel mondo italiano. Poi potrebbe esserci l'opzione-Brugger se lasciasse la Camera, per fare posto a nuovi equilibri nel partito, dando spazio ad un esponente degli Arbeitnehmer a Montecitorio. Nella partita potrebbe finirci anche il mio collega Pinzger - ovvero non essere più ricandidato - se il seggio senatoriale in Venosta rientrasse in questo giro di cambiamenti». E il seggio in Bassa Atesina per un italiano autonomista? «Perché no, ma allora dovrebbe essere un candidato che riesca a pescare voti nel mondo tedesco, anche in periferia: da Termeno a Cortaccia». Veniamo all'attualità politica di questi giorni. La Svp dice no all'autodeterminazione, sì ad una maggiore autonomia e ci prova col doppio passaporto per i sudtirolesi. La direzione è quella giusta? «Direi di sì, visto che il traguardo dev'essere quello della pacifica convivenza. Sulla doppia cittadinanza Brugger ha ragione: è un tema non straordinario per gli italiani, che tiene in considerazione la legislazione italiana, ma può essere fatto solo se lo consente quella austriaca». Lei fa parte, a Palazzo Madama, della Commissione Affari costituzionali. Il suo voto potrebbe essere determinante anche nell'immediato, nello specifico del cosìddetto decreto milleproroghe. Sfrutterà questa possibilità per fare approvare norme riguardanti la realtà altoatesina? «Vediamo cosa succederà in commissione, se otterrò qualcosa per la mia terra bene, altrimenti voterò contro». Quali norme le interessano in particolare? «Innanzitutto quella sulle detrazioni fiscali per il risparmio energetico. E poi ancora il fondo per il 5 per mille, importante per le associazioni di volontariato, ed ancora le accise per il gasolio in zone di montagna ed i contributi per le trasmissioni radiofoniche delle minoranze linguistiche». Anche la sua collega Thaler Ausserhofer potrebbe essere determinante nella Bicamerale sul federalismo. «È vero, anche se ad onore del vero il suo posto nella Bicamerale ci è stato dato dal Pdl, perché numericamente parlando spettava al Popolo della libertà». Lei alcuni anni fa ammise che nella Svp persisteva ancora molta diffidenza e chiusura verso gli italiani in quanto non integrati e ostili all'autonomia. Dopo il 2001 è cambiato qualcosa? «Fondamentalmente questo atteggiamento persiste tuttora; permane la vecchia paura legata al fascismo agli anni'50 di perdere la propria identità, la cultura e la lingua; ricordo la fallita esperienza per esempio di Elena Artioli, che si trovò la candidatura sbarrata verso la Provincia. Per contro, la popolazione dimostra di essere notevolmente più avanti e più aperta; basta vedere la pressante richiesta delle famiglie tedesche non solo dalle città, ma anche dalle valli per incentivare lo studio dell'italiano. Io non vedo affatto questi rischi, le tre comunità si sentono abbastanza forti per superarli; i più hanno capito che conoscere le due lingue significa integrazione e ricchezza culturale anche se ci sono sacche di resistenza in certe valli e anche a Bolzano, dove resiste l'imprinting dell'immigrazione: da una parte i simboli fascisti, dall'altra la toponomastica monolingue solo tedesca». Intravede qualche segnale di apertura? «Parlerei di piccoli passi, soprattutto da parte di personalità giovani quali, ad esempio il presidente dimissionario del consiglio provinciale Dieter Steger e lo stesso vice sindaco Ladinser sui simboli e, pur con qualche contraddizione, l'Obmann Theiner con la sua proposta "parliamoci" e anche Durnwalder; passi timidi; non va trascurato comunque l'accordo col centro sinistra sulle candidature in Parlamento per fronteggiare la destra. Il vero scandalo tuttavia è nel fatto che dopo 60 anni non siamo ancora in grado di dare una preparazione realmente bilingue». L'unica vera strada non sarebbe la scuola mista, anche nell'ottica di un'integrazione? «Forse sì, ma per carità, i tempi non sono ancora maturi; non tocchiamo le "vacche sacre", perché si rischiano reazioni laceranti e "guerre sante"; ma almeno si potrebbero aprire di più le a incontri sistematici fra ragazzi, a lezioni nell'altra lingua, avere il coraggio di fornire nuovi modelli». Nel suo ultimo libro - "L'Autonomia che cambia" edito dalla Praxis 3" - lei tenta di dare risposta ad alcuni quesiti riguardanti l'autonomia. Qual'è stata la molla che l'ha indotta a impegnarsi in questo lavoro? «Innanzitutto un'esigenza per così dire "tecnico-pratica", di divulgazione in tema di autonomia». Nel senso che non è abbastanza conosciuta? «Non solo per questo. Nel 2001 fu varata una riforma costituzionale in senso federalista, per dare un po' più di autonomia alle Regioni a statuto normale; una riforma che si può sintetizzare nella cosiddetta "clausola residuale" inserita nella Costituzione con l'art.117 comma 4. In parole semplici si stabilì che "spetta alle Regioni normali potestà legislativa in tutte le materie non espressamente riservate allo Stato centrale". Da questo ampliamento di importanti competenze tuttavia rischiavano di restare escluse le Regioni a statuto speciale, compresa la nostra con le due Province, quindi private di nuove quanto importanti settori». Come fu superata allora l'"impasse"? «Grazie alla cosiddetta "clausola di favore", una semplice, sintetica enunciazione di agevole inserimento nella Costituzione, grazie alla quale tutto ciò che è stato riconosciuto alle regioni normali trovano immediata applicazione anche alle autonomie speciali relativamente a quelle parti, si badi bene "che consentono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già possedute"». Quindi qual'è l'obiettivo del suo libro? «Più di un obiettivo. Innanzitutto quello di ordine pratico: se prendo un manualetto della Provincia trovo lo Statuto di autonomia del 1972, con l' aggiunta della citata "clausola di favore", ma senza l'elenco delle nuove competenze del 2001, poiché non sono mai state inserite nel testo dello Statuto stesso per via dell'iter troppo lungo (la doppia lettura in Camera e Senato) e per il timore della Svp di qualche colpo di mano.Pertanto finora, dopo ben 10 anni, chi voleva conoscere le nuove competenze del 2001 doveva ancora andarsele a cercare da altre fonti. Ed è quello che ho fatto io con un metaforico "setaccio": ho identificato e separato le nuove competenze regionali da quelle rimaste allo Stato e lo ho "proiettate" nel testo del nostro Statuto. Ne è scaturito quindi l'unico testo esistente che dà un quadro completo delle competenze provinciali vecchie nuove, inglobando lo Statuto del 1972 e le norme del 2001».

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