Autista resta paralizzato: mai risarcito

L'infortunio durante una consegna per la Dhl. Ha ricevuto 2 mila euro su 600 mila


Riccardo Valletti


BOLZANO. La mattina del 2 gennaio 2008 sul suo comodino avrebbe dovuto suonare l'allarme rosso, perché da lì a due ore la sua vita sarebbe diventata un inferno, e invece ha cantato solo la sveglia, molto presto come sempre. Solita routine, carica i pacchi sul furgone della Dhl e un tubo d'acciaio da consegnare in via Macello. Ma arrivato a destinazione il palo è troppo lungo per entrare in ascensore, e le scale sono appena state lavate, lui scivola e batte la base del collo. Era l'ultima volta che si sarebbe tenuto in piedi con le sue gambe. Mohamed El Hajjaji è tetraplegico, ora muove solo il braccio sinistro e la testa, fa la spola tra il letto e la sedia a rotelle e raramente esce di casa. Può succedere, si potrebbe pensare, di incidenti sul lavoro ne avvengono a migliaia ogni anno. Ma quello di Mohamed è speciale, perché con la sua sfortuna, il fattorino ha creato le condizioni per riuscire a scattare un'istantanea degli appalti nel mondo dei corrieri espressi. La società per cui lavora, il contratto a tempo indeterminato è ancora in vigore, è la bolzanina Italsteven srl, ma lui è l'unico dipendente e anche l'unica persona con cui si possa parlare. La proprietaria K.V., immigrata russa, e il suo compagno italiano A.T., che ai tempi d'oro incassavano ricche commesse dalla Dhl per il servizio consegne di una ventina di furgoni, sono scomparsi. Hanno licenziato tutti i dipendenti tranne Mohamed, protetto dalla malattia, e si sono dati alla fuga. Dopo il suo incidente la società per cui lavorava si è letteralmente sgretolata sotto i suoi piedi, lasciandolo con un contratto in piena regola in mano, ma che vale per la carta che pesa. Mohamed non ha più ricevuto lo stipendio, né gli sono stati versati i contributi, dal 2008. Sulle sue gambe ha una cartellina piena di atti di tribunali per un risarcimento di 600 mila euro, in cui la proprietà della Italsteven viene definita irreperibile. Lui vorrebbe rivalersi sulla casa madre ma gli ostacoli sono quasi insormontabili, la Dhl gli ha pagato qualche mese di contributi fino a che non è arrivata la scadenza dell'appalto, poi la gestione è passata a un'altra ditta e ora per Mohamed sono solo porte sbattute in faccia. «È un sistema generalizzato - spiega Michele Buonerba della Cisl, che si sta facendo carico della pratica - queste finte società d'intermediazione nascono e chiudono nel giro di un paio d'anni, poi spesso gli stessi soci ne fondano altre e ripartono con un nome nuovo, lasciandosi dietro una scia enorme di soprusi, evasione fiscale e pagamenti inevasi». Mohamed conferma che tutti i dipendenti della Italsteven stanno ancora aspettando i loro stipendi, e che solo attraverso ingiunzioni e il recupero di qualche credito sparso sono riusciti a racimolare meno di duemila euro a testa. «Il caso di El Hajjaji è un'eccezione - prosegue Buonerba -, quella ditta probabilmente sarebbe stata comunque destinata a chiudere nel giro di qualche mese, perché agli stessi appaltanti non conviene che queste società restino attive troppo a lungo, solo che con lui di mezzo non hanno potuto, perché nelle sue condizioni non poteva essere licenziato, e quindi hanno scelto di sparire». Senza stipendio e con tre figli piccoli ora Mohamed sopravvive della pensione Inail di 380 euro mensili. «Non può lavorare nemmeno mia moglie - si sfoga - perché nelle mie condizioni ho bisogno di essere assistito 24 ore al giorno, porto il pannolino, ho bisogno di aiuto per lavarmi, tutta la mia famiglia è vittima di questa situazione››. La depressione a volte prende il sopravvento, ‹‹ho paura di cedere, di perdere di credibilità, e allora tutta questa battaglia finirebbe nel nulla, ma è la Dhl che deve pagare››. Sfoglia le 42 lettere di testimoni che per anni lo hanno visto indossare la divisa della Dhl. «Era per loro che lavoravo, la Italsteven non era niente, prendevo ordini da loro, consegnavo quello che dicevano loro, il mio capo era il responsabile del loro magazzino». Ora è incastrato in un cortocircuito burocratico, non può richiedere assistenza perché risulta occupato, e non può dimettersi perché perderebbe l'unico vincolo che gli permette di farsi valere. ‹‹Ho quindici anni di esperienza, parlo tre lingue, se volessero potrebbero farmi lavorare in ufficio, anche solo a fare fotocopie, invece la Dhl non mi lascia nemmeno entrare dal cancello, l'ultima volta mi hanno urlato di andarmene di non farmi più vedere››.

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