Bolzano

Bambini in strada, la replica di Assb: «È una scelta della madre» 

Un caso complesso che ha dato vita ad una gara di solidarietà. Ma le istituzioni replicano alle critiche. L’assessore Andriollo: «La donna ha rifiutato il Cas in Abruzzo». Di Fede (Assb): «Le regole vanno rispettate da tutti»


Antonella Mattioli


BOLZANO. Gara di solidarietà per Tamar, la madre georgiana di 28 anni, che ha passato una notte davanti all’InfoPoint di via Renon e una in ospedale, con i figlioletti di 5 e 6 anni. Sarebbe tornata in strada anche la sera successiva, se un buon Samaritano non fosse intervenuto a pagare due notti all’hotel Adria. Nei giorni scorsi altre persone - colpite da una vicenda in cui le vittime sono due bambini - si sono offerte di pagare altri giorni di ospitalità.

La difesa di Comune e Assb

La prima reazione che questa triste storia suscita è di indignazione nei confronti delle istituzioni che avrebbero abbandonato la famigliola.

La realtà - come di consueto - è più complessa. Tanto che sia l’assessore alle politiche sociali del Comune Juri Andriollo sia la direttrice di Assb Liliana Di Fede intervengono per spiegare che “Bolzano per scelta politica ben precisa non lascia donne e bambini per strada”, ma nel caso specifico è stata la madre “a lasciare il Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Isola del Gran Sasso, dove la famiglia ha residenza e i bambini andavano a scuola, mettendo consapevolmente a rischio lei e, soprattutto, i suoi figli di 5 e 6 anni, per tornare in Alto Adige”.

Versione questa confermata anche dalla responsabile di un’associazione che a Isola del Gran Sasso in provincia di Teramo ha seguito e aiutato Tamar e i suoi piccoli.

Il ritorno in Alto Adige

Ma perché la donna ha voluto tornare a Bolzano?

Perché in Alto Adige, in un Centro di accoglienza straordinaria alle porte del capoluogo, vive la sorella che, a differenza di Tamar, parla l’italiano; lei stessa con due figli, nel 2019 e fino all’inizio del 2020, è stata accolta nel centro di emergenza allestito in via Macello.

Poi, qualche settimana prima che scoppiasse la pandemia, è stata trasferita, in base ai piani di distribuzione di chi ha ottenuto lo status di rifugiato politico, all’Isola del Gran Sasso. Un comune con meno di 5 mila abitanti. Nel Cas del piccolo centro abruzzese era iniziato il cammino d’inserimento e i bambini andavano a scuola. Ma Tamar, il 10 giugno, nonostante sia in prefettura che in Comune le avessero spiegato le conseguenze di uscire dal Centro, si è rimessa in viaggio, per raggiungere la sorella in Alto Adige.

Desiderio legittimo, però l’assessore Andriollo (la sua lettera integrale la pubblichiamo a pagina 8) e la direttrice di Assb Di Fede ricordano che ci sono delle regole da rispettare e il rifiuto di rimanere all’interno del centro protetto in Abruzzo è in realtà un boomerang. Nel senso che la famigliola, uscendo dal percorso di accoglienza, ora è su una strada .

Regole da rispettare

«Ci sono leggi che vanno rispettate da tutti - dice la direttrice Di Fede -: la signora con i due bambini deve tornare in Abruzzo. Dove era stato avviato un percorso di accoglienza. Capisco che faccia male vedere due bambini che dormono in strada, ma i piccoli non possono essere usati come arma di ricatto per ottenere ciò che si vuole.

La signora - è bene sottolinearlo - non è stata abbandonata, ma ha rifiutato l’accoglienza nel Cas assegnatole, inseguendo le fake news secondo cui in Alto Adige si ottiene di più e meglio che nel resto d’Italia». Il timore è che la vicenda crei un precedente.

«Se si infrangessero le regole per la signora Tamar, potrebbero arrivare a Bolzano - prevede Andriollo - altre persone per i motivi addotti dalla donna, ma anche per tante e svariate altre ragioni. E cosa facciamo poi? Accogliamo tutte e tutti a prescindere dalle regole dell’accoglienza? E con quali risorse?». Per tutte queste ragioni oggi le assistenti sociali che seguono il caso, cercheranno di convincere Tamar a tornare in Abruzzo.













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