Brunico, la donna non fece resistenza 

Negli ultimi istanti di vita Maria Magdalena Oberhollenzer non reagì. Una conferma del gioco erotico



BOLZANO. I primi responsi tecnici delle analisi disposte dalla Procura per l’omicidio di Maria Magdalena Oberhollenzer sembrano fornire attendibilità alla ricostruzione del dramma fatta in carcere nel corso del primo interrogatorio da Patrick Pescollderungg. Come si ricorderà l’autopsia rivelò che la donna morì asfissiata per strangolamento ma nel corso della sua deposizione, il giovane indagato ha raccontato che nulla di quanto avvenne quella notte (tra il 26 ed il 27 dicembre scorsi) nel piccolo appartamento della vittima sarebbe stato cercato e voluto. Per il momento Patrick Pescollderungg è sempre in carcere con l’accusa di omicidio volontario ma la situazione complessiva potrebbe gradualmente cambiare e diventare meno pesante per il giovane sudtirolese.

Le prime indicazioni emerse dagli accertamenti tecnici disposti dalla Procura sembrano avvalorare il racconto dell’indagato il quale ha rivelato che la donna (una sua conoscente) sarebbe morta tra le sue mani per una tragica fatalità legata ad un gioco erotico pericoloso, trasformatosi in tragedia in pochi istanti. Dalle prime verifiche tecniche è ora emerso un particolare importante: non risulta infatti che la donna negli ultimi istanti di vita, abbia avuto una reazione nel tentativo di evitare lo strangolamento. Tutto infatti lascia pensare che la donna fosse consenziente al momento di essere stretta al collo dall’amico che aveva ospitato in casa. In effetti Patrick Pescollderungg ha raccontato che sarebbe stata la vittima a chiedergli di stringerla al collo per farle mancare ossigeno per qualche secondo allo scopo di aumentare le sensazioni.

Un gioco erotico molto pericoloso che quella notte sarebbe sfuggito di mano nel senso che quando Pescollderungg allentò la presa al collo la donna era già morta per asfissia. E’ evidente che se la vittima non fosse stata consenziente ad essere stretta al collo, avrebbe cercato in tutte le maniere di difendersi disperatamente, graffiando il suo aggressore o cercando di allentare la stretta della corda o della stoffa usata come cappio. In realtà sulle mani della vittima ed anche sul corpo dell’omicida non c’è alcuna traccia di ferite da difesa. Gli inquirenti attendono però ancora l’esito definitivo degli esami tossicologici nel sangue della vittima. Serve infatti la certezza che la donna prima del dramma non sia stata drogata e resa incapace di reagire.

(ma.be.)

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