Capi e “soldati”, così funzionava il clan

Venti arresti già eseguiti e sei criminali latitanti: l’organigramma della banda che aveva messo radici a Bolzano


di Riccardo Valletti


BOLZANO. Una holding criminale pericolosa e agguerrita, l’ha definita il colonnello dei carabinieri Giuliano Polito. E soprattutto organizzata in maniera impeccabile, con competenze e ruoli diversi, coordinati dai boss locali, che a loro volta ricevevano ordini da fuori città.

Le indagini dell’Arma hanno verificato la posizione di ciascuno dei componenti della banda, fino a definirne l’intero organigramma: avevi bisogno di qualcosa? Dalla casa all’avvocato, dalla stanza d’albergo a un deposito per la refurtiva... ci pensava Garip Sabani, il “facilitatore”. C’era una prostituta concorrente da “spaventare” per cacciarla dalla zona? Niente di più facile per Elsidio Hasani, il “soldato”: era lui a puntare la pistola in faccia alla prostituta quella notte in via Macello, per spiegarle che quella piazzola era di proprietà del clan.

Poi c’erano i “reclutatori”, come Nicolai Daniel Suciu (alias “Nicusor”) e Savu Cirpaci, a cui spettava il delicato compito di recuperare la materia prima del traffico, le ragazze, per poi metterle sulla strada a vendersi.

Quando è stato arrestato a Genova, «Nicusor» era in compagnia della sua ultima conquista, una giovanissima ragazza slava, che aveva tatuato sulla pelle il suo nome, tanto per non farle dimenticare a chi appartenesse.

Poi c’era il “magazziniere”, Remus Marius Moca: suo lo scantinato utilizzato come centro di stoccaggio della refurtiva, e suoi i contatti e la gestione di tutte le spedizioni. Ogni tre giorni un carico, sempre diretto in Romania, con gli ultimi arrivi del lavoro dei “predatori”. Anche per questa categoria c’erano addetti specializzati. Calin Vintila, Robert Vasilica, Dari Vasile: tutti esperti ladri, all’occorrenza di biciclette, oppure di rame, o semplicemente di portafogli e gioielli, rapinati a passanti.

E ancora, gli “autisti”, come Claudio Kondor e Ionut Vieru, il cui compito era trasportare le ragazze alla loro piazzola e poi tenerle sotto controllo, a vista, per tutta la notte.

Le indagini hanno verificato che le auto dell’organizzazione, una ventina in tutto, percorrevano decine di chilometri ogni notte girando intorno allo stesso isolato, come sentinelle di ronda. Per ogni gruppo c’era un capo, un boss di piccolo calibro, che assegnava compiti e dava ordini.

Uno di questi era Nelu Fritea, uomo di fiducia dei boss torinesi, seguito da Petru Ovidu Cirpaci (alias Mutu Mondialu), erano loro a sedare le divergenze, o a chiedere l’intervento del capo da Torino, quando le dispute si facevano particolarmente accese.

E infine c’erano le donne del clan, le “ammaliatrici”. Professioniste nel raggirare anziani soli, presi di mira e osservati per dedurne il loro potere di spesa, e poi circuiti con un mix di finte lacrime e sesso. Raccontavano di avere grandi problemi, in Romania, o che non sapevano come far fronte alle spese mediche dei loro bambini, oppure che erano prigioniere desiderose di essere liberate per coronare finalmente il loro sogno d’amore.

Con questa tecnica hanno raggirato diversi anziani in Trentino Alto Adige, arrivando a prelevare dai loro conti anche diverse decine di migliaia di euro, che regolarmente finivano nelle casse del clan. In assenza di questa attività, diventavano “maitresse” delle altre ragazze, controllandone le prestazioni e la redditività, e all’occorrenza accompagnandole sulla piazzola, e fornendo le istruzioni sul modo giusto di svolgere il lavoro.

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