la protesta

Carovita, la rabbia dei lavoratori: «Due stipendi non bastano più» 

Presidio dei sindacati lunedì davanti alla sede dell’Unione commercio per chiedere il rinnovo del contratto. Cresce il rischio povertà anche tra chi ha un lavoro stabile in una realtà con un costo della vita tra i più alti d’Italia


antonella mattioli


BOLZANO. «È aumentato tutto: dall’affitto al mutuo, alle bollette, agli alimentari. Solo i nostri stipendi sono rimasti fermi». Chiedono il rinnovo del contratto, bloccato da quattro anni; chiedono l’aumento delle paghe i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil, Asgb che ieri hanno organizzato un presidio sotto la sede dell’Unione commercio, in vista dello sciopero nazionale del 22 dicembre. Dal palazzo di via di Mezzo ai Piani sono scesi Philipp Moser e Sandro Pellegrini, rispettivamente presidente e vice dell’associazione, e Sabine Mayr, la direttrice. Hanno parlato con i lavoratori, riconoscendo che il problema esiste eccome: «Siamo d’accordo con voi: gli stipendi sono bassi. Disponibilissimi a trattare. Prima si chiude la discussione sul contratto nazionale, poi apriamo subito il tavolo per il contratto di secondo livello». Per il momento è solo una promessa, ma è già qualcosa.

Del resto, proprio una recente ricerca dell’Astat ha dimostrato come anche tra il personale dipendente del commercio ci sia chi è a rischio povertà, perché ha una retribuzione oraria sotto la soglia dei 9 euro che significa 9.840 euro annui.

Ormai anche i datori di lavoro si rendono conto di come il costo della vita in Alto Adige - maglia nera per questa voce a livello nazionale - stia mettendo sempre più in difficoltà anche le famiglie dove si lavora in due. Non sempre per scelta, ma per “dovere”, se si vuole sperare di arrivare a fine mese. Ad incidere è innanzitutto il prezzo degli alloggi: gli affitti come i mutui sono ormai troppo pesanti da sopportare.

La commessa

Abbiamo raccolto tre testimonianze che fotografano la situazione. Giusy Danza, madre di due figli, bolzanina, lavora come commessa da trent’anni per una catena della grande distribuzione con un part-time di 30 ore alla settimana: «Ho uno stipendio di 1.400-1.450 euro al mese; mio marito ne guadagna 1.700. Ne spediamo 650 di affitto che, negli due mesi, sono diventati oltre 800 per l’aumento delle spese; poi bisogna aggiungere le bollette e la spesa per mangiare. Pur cercando di comprare preferibilmente i prodotti in offerta, è durissima arrivare alla fine del mese. Di fatto diventa quasi impossibile potersi permettere qualcosa che vada fuori dallo stretto necessario. Anche perché c’è sempre il rischio dell’imprevisto: la lavatrice che si rompe; la visita specialistica da fare in privato perché i tempi della sanità pubblica sono troppo lunghi; la macchina da portare dal meccanico».

Due lavori per sopravvivere

Singh Harjinder, indiano d’origine, è in Italia dal 2003. Ha moglie e tre figli. Lavora come commesso al 75% in un negozio della grande distribuzione. Punterebbe al tempo pieno, ma l’azienda preferisce chiamarlo solo quando c’è necessità e pagare gli straordinari. La casa l’ha comprata a Prato Isarco, perché è uno dei pochi posti dell’Alto Adige dove, con un po’ di fortuna, si può sperare di trovare un alloggio a prezzi accessibili. «Mia moglie lavora quando ci sono qui i miei genitori che possono occuparsi dei nostri figli; quindi il mio stipendio di commesso a 1100 euro per 30 ore settimanali da solo non basta a mantenere cinque persone. Per questo ne ho cercato un altro: faccio il portiere di notte in un albergo e guadagno altri 1.300 euro. Totale: 2.400 euro, più i 700 euro al mese di assegno unico provinciale per i tre figli. Ma anche così bisogna fare i salti mortali. Perché ho un mutuo da 800 euro al mese più spese di condominio e bollette; più la benzina per raggiungere i due posti di lavoro; più la spesa. Ovviamente, solo e rigorosamente prodotti in offerta».

L’operatore sociale

Al presidio davanti all’Unione commercio, ieri c’era anche Senio Visentin, responsabile del Centro d’ascolto e del servizio distribuzione pasti della Caritas, portavoce di quel ceto medio che oggi, in Alto Adige molto più che nel resto d’Italia, comincia a fare fatica: «Da parte di Caritas c’è grande attenzione a queste tematiche, quindi mi applicano il contratto del commercio che per il mio profilo è il migliore. Ho uno stipendio base lordo di 1.900 euro, ma ne pago oltre mille di mutuo. Con un figlio da crescere, se non ci fosse anche lo stipendio di mia moglie, sarebbe di fatto impossibile far quadrare i conti».

 













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