L'ANALISI

Caso Repetto, basta alibi per il Pd


Paolo Campostrini


Ci sono diversi modi di guardare alla sentenza Bizzo-Repetto. C’è quello di Durnwalder che pensa a governare e dice: grazie Barbara ma adesso devi lasciare l’ufficio. Ma lui è di Falzes e sa che c’è chi dà gli ordini e chi li riceve: questo deve eseguirlo. Poi c’è quello del Pd che è più complesso ma strabico. Bizzo non sta nella pelle e si capisce; la segreteria a sua volta, capisce che deve mostrarsi super partes ma pure che la Cassazione le ha risolto in un colpo solo i problemi di equilibri strategici (i rapporti ad initio Ds-Margherita) e quelli tattici con la sua inquieta minoranza repettiana. I repettiani, infine, hanno reagito con grande amarezza ma hanno anche fatto defluire all’esterno la percezione di aver sempre vissuto la vicenda con un livore assolutamente pre-politico. «Questa è gente che non si sopporta, altrochè programmi» aveva sibilato un vecchio democristiano alla prima riunione congiunta dopo le elezioni. Aveva ragione. Maggioranza e minoranza hanno sempre vissuto da separati in casa. «Brutto mondo e bruttissima gente» ha detto l’assessora appena appreso il verdetto. Per «gente» intendeva quelli del Pd che non stanno con lei. Intendeva Bizzo, che non ha rinunciato a ricorrere; intendeva i vertici, Frena-Gnecchi-Tommasini, che non avrebbero impedito a Bizzo di ricorrere. Insomma, intendeva il partito.
Ha aggiunto Stenico, uno dei suoi: «Questa è la morte del Pd». Ecco il punto. In realtà sono molti quelli che hanno tentato di farlo morire. Prima di Bizzo e ben prima della Cassazione. Con responsabilità equamente distribuite. La Repetto è entrata nel Pd per cambiarlo ma quando ha visto che non ci riusciva ha deciso di lasciare la casa comune per costruirsi una dependance, il «Forum democratico». La maggioranza aveva a sua volta elaborato una fusione fredda tra diessini e Margherita in cui non era previsto un terzo «elettrone» formatosi invece sotto elezioni dalla confluenza di ex-socialisti, democristiani non organici e operatori di settori legati alla Repetto nel suo lavoro di funzionaria provinciale snodo di distribuzione delle risorse contributive. Quest’area composita ha subito mostrato le sue anomalie di posizionamento. E la sua insofferenza alla disciplina di partito. Il risultato? Una conflittualità permanente che si è riverberata su vari fronti: l’irrigidimento dei vertici accusati spesso dalla Repetto di «centralismo democratico»; l’incapacità dei gruppi nel loro complesso di trovare una sintesi politica delle diverse anime e, infine, una chiara distanza anche personale tra i due assessori nelle stessa giunta provinciale.
Adesso le prospettive cambiano e c’è un aspetto che subito emerge: la Cassazione ha restituito il Pd al suo patto portante Ds-centristi. La fusione che non era riuscita per via politico-elettorale è avvenuta infine per via giudiziaria. Questo impedirà il frazionamento e la fuga degli ex margheritini già avviato con l’iniziativa di Di Puppo? Forse sì, perchè la presenza di un punto di riferimento «governativo» di solito attrae i vecchi democristiani più delle sirene di Ulisse. Bizzo, in sostanza, si troverà naturalmente a coprire un’area, quella cattolica, che stava mostrando chiari segni di straniamento in un partito il cui asse politico pescava sempre più nei settori laico-socialisti.
L’altro scenario è più problematico. Dopo lo sganciamento di Cavagna a Merano e lo schiaffo ai repettiani, il Pd non potrà sopportare ulteriori impoverimenti. Si dovrà lasciare il tempo alla corrente dell’ex assessora di elaborare il lutto ma è chiaro che una sua discesa in campo autonoma alle prossime comunali potrebbe non essere decisiva ma sicuramente di disturbo in una temperie di grave incertezza nelle candidature. Pochi ma uniti serve per decidere ma non a vincere le elezioni.
Infine il nodo di fondo. Definiti i rapporti di forza interni, il Pd è ora chiamato a chiarire definitivamente la propria base programmatica. L’Svp si dibatte tra le sirene identitarie risollevate nelle valli dall’aggressività delle destre tedesche e la necessità di elaborare una visione post-etnica della politica sudtirolese ma è per questo che non potrà più permettersi, in prospettiva, alleati autonomisti incerti, pavidi o autoreferenziali. Che non le fornissero più una testa di ponte credibile per rapportarsi al gruppo italiano. Che si accontentassero di essere semplicemente cooptati in giunta. Per questo, all’Svp potrebbe bastare anche Holzmann.
E proprio per questo, dopo la sentenza, il Pd non ha più alibi. E’ abbastanza «leggero» da potersi permettere una coraggiosa rielaborazione programmatica sui punti che ancora attendono risposta: toponomastica, ruolo degli italiani nei posti apicali delle società provinciali, una strategia per il bilinguismo precoce, il rilancio dei settori economici legati al gruppo etnico, un disegno organico per Bolzano-capoluogo, una chiara geografia di alleanze, una nuova capacità di penetrazione nella società per individuare ricambi e intelligenze per la propria classe dirigente.
Non sarà facile. Ma sarà necessario. E se non ce la farà non potrà più dare la colpa alla Repetto.













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