L'EDITORIALE

Caso Repetto, quelle parole inaccettabili



Si può capire la delusione di chi si trova dalla parte del torto per sentenza e deve lasciare un ruolo come quello di assessore della Provincia, con il peso che a questa istituzione viene riconosciuto in Alto Adige. Ma sono inaccettabili le parole con le quali la signora Barbara Repetto ha commentato la decisione della Cassazione. Inaccettabili per una serie di ragioni di natura politica e giuridica. La signora Repetto ha un passato di esponente riformista e milita (forse dovremmo dire militava) in un partito che si è sempre distinto dal linguaggio berlusconiano riguardo ai magistrati e alle sentenze scomode. Dobbiamo presumere che, fino a ieri l’altro, la signora Repetto fosse tra coloro che criticavano l’atteggiamento del premier per gli attacchi ai magistrati, per gli interventi legislativi compiuti per sistemare le proprie pendenze, o per i tentativi di influenzare i processi che lo riguardano. Ebbene, chi aveva una simile posizione non può adesso denunciare come una “mascalzonata” la decisione dell’alta corte di Cassazione, che la riguarda in questo caso direttamente e che le è sfavorevole. Il discrimine per cambiare idea non può essere l’ interesse personale. Altrimenti, dovremmo dare ragione a Berlusconi, il quale agisce nell’ottica della propria convenienza, mescolando l’interesse privato con l’interesse pubblico, cercando di farsi in Parlamento norme su misura.
Se la signora Repetto fosse coerente con se stessa potrebbe lecitamente testimoniare l’amarezza per avere perduto il ricorso, potrebbe difendere la sua tesi, ma dovrebbe anche rispettare la sentenza. Questo accade nei paesi seri con una classe politica seria. Anche perché la faziosità dei suoi giudizi lede innanzi tutto la credibilità del suo impegno a favore della collettività. I cittadini potrebbero chiedersi fino a che punto l’ex assessore abbia amministrato in nome dell’interesse generale se, poi, messa alla prova, l’unica cosa che per lei conta è la carica che è costretta a lasciare. E’ strano che la signora Repetto non abbia valutato le conseguenze di una uscita in cui adombra una Cassazione manipolata da un partito, il suo. E che non abbia considerato che, questo eccesso di autodifesa, riveli un attaccamento al potere che non piace agli elettori. Ma c’è anche un elemento giuridico da esaminare. In tema di ineleggibilità c’è una giurisprudenza costante alla quale la Cassazione si ispira. Vale a dire che la Cassazione ha sempre deciso secondo questa linea di fronte a casi come questi. Ci sono sindaci, assessori, politici di ogni partito e schieramento in tutta Italia che sono stati dichiarati ineleggibili da parte della Cassazione secondo le medesime regole. Anche il discorso della società che non era operativa rappresenta un mito giuridico: si sa che per la Cassazione quello che conta è che la società sia costituita. D’altra parte, Bizzo ha esercitato il suo diritto a sostenere fino in fondo la propria tesi, e anche questa è una delle garanzie dello stato di diritto. Pensare che la Cassazione si faccia influenzare politicamente, per di più dal Pd, che in genere non riesce a influenzare neppure se stesso, fa parte della distorsione berlusconiana sulla giustizia che sembra avere convertito la signora Repetto sulla via di Roma. In questo Paese, le regole esistono e ci sono magistrati chiamati a farle rispettare. Qualche volta può non farci comodo. Altre volte può provocare in noi una rabbia comprensibile quando non ci viene riconosciuto quello che riteniamo un diritto, ma la legge è la linea che divide una società civile ordinata da una che non lo è. Sorprende che una persona investita fino a ieri di una carica pubblica, di colpo, sembra avere dimenticato il senso delle istituzioni e il significato di responsabilità verso i cittadini.













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