Claudio, da trapiantato a testimonial dell’Admo

Tait: il 26 gennaio 2005 ero solo e impaurito in una camera sterile di ematologia Un grazie al donatore: «Mi ha restituito la dignità e la possibilità di amare»


di Massimiliano Bona


SALORNO. Claudio Tait, a Salorno (ma non solo), è un simbolo, l’emblema del ritorno alla vita. Perché, oltre ad essere una persona semplice e intelligente, sa più di tanti altri cosa signifchi essere appesi ad un filo. Dieci anni fa, il 26 gennaio, ha subìto un trapianto che gli ha consentito di riscoprire la gioia delle piccole cose. «Ogni anno festeggio come fosse un secondo compleanno e ogni giorno penso che è grazie a una donazione se sono ancora vivo».

Claudio torna, poi, al 2005. Prima del trapianto, atteso come l’acqua nel deserto. «Dieci anni fa a quest'ora ero in una camera sterile del reparto di ematologia, all'ottavo piano dell'ospedale San Maurizio di Bolzano. Ero segregato in quella stanza. Sempre da solo mentre continuavano a somministrarmi liquidi, farmaci e antibiotici per salvagualdare un sistema immunitario ormai assente. Il mio midollo osseo era stato annientato da radioterapie e chemioterapie molto potenti con l'intento di far posto a quello nuovo e sano proveniente da un donatore anonimo germanico».

Tait confessa di avere avuto paura. «Sì, paura che all'ultimo momento “il mio gemello genetico” si tirasse indietro, paura che potesse succedere qualcosa, paura che quell’unica speranza di vita svanisse come una bolla di sapone. Ero in una situazione di non ritorno. Se quella sacca non fosse arrivata non avrei potuto fare il trapianto e non sarei potuto guarire. E non avrei avuto più nessuna medicina per uscire da quella stanza».

La sera del 26 gennaio 2005 quella sacca è arrivata. «Ricordo che il medico la teneva fra le mani con apprensione. Una sacca che - ora posso dirlo - valeva una vita intera. Da allora sono passati dieci anni. Dieci anni regalati, dieci anni meravigliosi, dieci anni diversi. Diversi perché ho aperto gli occhi su un mondo nuovo fatto di solidarietà e amore per gli altri».

Sono gli stessi valori che contraddistinguono l'attività dell’Admo, associazione di cui lo stesso Tait fa parte da anni. «L'intento - racconta il “testimonial” di Salorno - è quello di reclutare donatori e far sì che tutti gli ammalati che stanno aspettando possano avere la mia stessa fortuna: trovare un donatore compatibile».

Non tutte le storie di malati in attesa di trapianto hanno avuto lo stesso lieto fine. «In questi anni ho conosciuto tante persone in attesa di trapianto e qualcuno, fra loro, non ce l’ha fatta. Ho avuto, però, anche la fortuna di incontrare uomini e donne che si sono iscritti al registro dei donatori. Qualcuno è arrivato alla donazione vera e propria salvando uno sconosciuto. Credo che non ci sia gesto più bello. Io il mio donatore, per ragioni di privacy, non l'ho conosciuto ma lo rivedo, spesso per fortuna, negli occhi di tanti altri donatori entusiasti».

Tait sa bene cosa può significare un trapianto. «Mi ha ridato la dignità, la possibilità di amare, mi ha restituito all’affetto dei miei familiari, agli amici, al mio cane, alla bicicletta, ai motori, alla musica, al cibo, ai panorami, alle montagne, ai fiori, al mare, al caffè alla mattina. Insomma, mi ha ridato proprio tutto». Infine un augurio e un saluto. «Il mio pensiero va agli ammalati, a chi in questo momento sta lottando e a chi sta aspettando di rinascere. Un saluto, invece, al team di ematologia dove ogni giorno si tenta un nuovo miracolo».

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