Clausola di salvaguardia, Svp in pressing su Bressa

I criteri attuativi non danno garanzie: il Parlamento può decidere con i due terzi Riforma costituzionale, Zeller incalza: «Non ci faremo scavalcare sullo Statuto»


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Dietro i sorrisi e i complimenti reciproci, tra Bolzano, Trento e Roma è in corso un pesante braccio di ferro sulla riforma costituzionale e sulla famosa clausola di salvaguardia per le autonomie speciali. «Per la prima volta abbiamo ottenuto una sorta di un potere di veto sulle modifiche al nostro Statuto», rivendica il presidente provinciale Arno Kompatscher. È vero, ma c’è un retroscena tenuto finora lontano dai riflettori e che sta mettendo alla prova il buon clima tra Pd e Svp. È una potenziale «bomba», che annullerebbe la stessa clausola di salvaguardia, tanto che il senatore Karl Zeller riassume così la situazione: «Quella cosa lì non andrà avanti, non la accetteremo mai». Si tratta delle regole di applicazione della clausola di salvaguardia, elaborate in bozza da un gruppo di lavoro delle regioni speciali coordinato dal sottosegretario Gianclaudio Bressa. In caso di mancato accordo, le modifiche allo Statuto potranno essere votate dal Parlamento senza il consenso delle «speciali». Anche a questo si riferiscono i presidenti Kompatscher e Rossi, quando chiedono «ulteriori garanzie» sull’autonomia in vista del referendum sulla riforma costituzionale. Riccardo Dello Sbarba (Verdi) non è sorpreso: «L’unica garanzia per le autonomie speciali è che la riforma costituzionale venga bocciata al referendum. La Svp prova a salvare il salvabile, ma la clausola di garanzia è debole e il miglior risultato possibile sarà avere poche “speciali” tutelate, circondate da regioni svuotate di poteri. A quel punto sarà più facile smontare anche le autonomie, vero obiettivo del governo». Nella riforma costituzionale è prevista una clausola di garanzia ad hoc: il nuovo impianto costituzionale non verrà adottato nelle Regioni e Province speciali fino alla modifica degli Statuti e tale modifica dovrà essere frutto di una intesa tra lo Stato e questi territori. Una blindatura, di fatto. Ma quali regole governeranno l’intesa? Qui inizia la materia più scivolosa, ammesso che al referendum vincano i «sì».

Alla procedura per l’adeguamento delle autonomie speciali alla nuova Costituzione è dedicata la «proposta di sintesi in materia di previa intesa» elaborata nell’agosto del 2015 dopo il lavoro di Bressa con i presidenti delle giunte e dei consigli regionali delle autonomie speciali. Se questa resterà la linea, la proposta, anticipa Bressa, dovrà diventare a sua volta un disegno di legge costituzionale. «Per noi non esiste», ribadisce Zeller. Secondo l’ipotesi avversata dalla Svp, il consiglio regionale dovrebbe esprimersi entro tre mesi su un testo di modifiche allo Statuto approvato dalle Camere. In caso di voto contrario del Consiglio o di mancata risposta, il presidente del Senato convocherà una «commissione paritaria di convergenza» composta da due senatori, due deputati e quattro consiglieri regionali designati dai rispettivi presidenti, che avrà altri tre mesi per inviare al parlamento una proposta «condivisa all’unanimità». Se la Commissione non troverà un accordo, la legge di modifica dello Statuto potrà essere approvata dal Parlamento con la maggioranza dei due terzi. Così Bressa: «Non si può lasciare alle Regioni un diritto di veto assoluto sulle modifiche costituzionali, il cui potere spetta al Parlamento». Bolzano e Trento sarebbero però al sicuro, secondo il sottosegretario: «Lo Statuto del Trentino Alto Adige ha una protezione in più garantita dall’accordo internazionale». La Svp non si fida e va in pressing sul governo. «Dovrebbero inserire un passaggio ad hoc sull’accordo con l’Austria», conferma Zeller, «Ma il governo non intende farlo. E allora diciamo che su questa procedura non daremo il consenso». Zeller rivendica però il lavoro fatto finora: «La clausola di salvaguardia è ottima, nonostante ciò che dicono “scienziati” come l’ex senatore Peterlini».

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