Corso Libertà è in crisi? «Trasformiamolo  in museo di architettura»

Bolzano. "Lo rilanceremo, Corso Libertà " promette Juri Andriollo, assessore comunale alla cultura. Lo dovremo collegare, in realtà. Non più centro nuovo, italiano, contrapposto a quello antico,...



Bolzano. "Lo rilanceremo, Corso Libertà " promette Juri Andriollo, assessore comunale alla cultura. Lo dovremo collegare, in realtà. Non più centro nuovo, italiano, contrapposto a quello antico, tedesco. Ma farne una prosecuzione del "tour" turistico del centro gotico, riqualificarne l'offerta di marketing urbano, immaginarne un logo, costruire l'idea di un percorso che diventa, ma solo di conseguenza, anche commerciale.

"È la storia stessa del corso la base su cui costruire il suo futuro" dice Tiziano Rosani, presidente della Fabbrica del Tempo che ha messo in piedi un libro, straordinario contenitore di vecchie fotografie di una Bolzano che non c'è più. E una mostra, proprio in uno dei primi negozi in Piazza Vittoria 45, di fronte al parco del Monumento. Cogliendo il messaggio di fondo dell'iniziativa ("Lavori in Corso", chiude oggi ore 15-19) che risiede nella valorizzazione di un patrimonio. "É come se tutto fosse rimasto fissato nel tempo" osservavano in molti tra i tanti che sono accorsi al primo "grand tour" nel cuore del razionalismo bolzanino. Condotto dagli storici Angela Grazia Mura e Hannes Obermair. Persone che alzano finalmente gli occhi. Che sia una scoperta corso Libertà non ci piove. Anche immaginare com'era prima di Piacentini e che è testimoniato dalle fotografie scattate dagli stessi architetti che poi lo avrebbero inciso, come asse verso Gries. Ad esempio. Nel 1901, proprio dove ora c'è il giardino del monumento, fu inaugurato il Talferpark, un cuneo tra i due assi delle allora direttrici quasi extra moenia: la via provinciale, dove ore c'è via Cesare Battisti e la strada verso il vecchio comune di Gries, oggi via Diaz. All'inizio del corso c'era il Conventino delle Annunciatine, sorto nel 1700, con chiesa e edifici di servizio. Poco più oltre, verso il fiume, l'Hotel Bagni, poi la segheria Baumgartner e sulla via allora Einsenstecken correva il vecchio tram. Ancora piccole case, una rada presenza di edifici e poi campagna. E la villa di un architetto, Franz Weber che ha avuto la sfortuna di costruirla nel 1926 e che non ebbe neppure dieci anni di vita. Fino al '34 quando, d'improvviso appare il grande intervento di riconversione non solo urbana.

"C'è un enorme progetto anche sociale, morale e politico, un messaggio che viene depositato qui" osserva Obermair. Un manifesto che ancora oggi si legge sulle facciate dei grandi edifici che fanno corona, ai lati, a piazza Vittoria. Con i passaggi a curva romanica apparente, in realtà un subliminale omaggio alla "M" mussolinana. "Le grandi proprietà immobiliari qui investono in modo massiccio" spiega Angela Grazia Mura.

Sigle oggi familiari: Ina, Inps gettano le basi per una presenza edificatoria che dovrà ospitare gli alloggi della nuova borghesia italiana. Quella chiamata dal fascismo a popolare questa parte di Bolzano lasciando quella oltre via Roma, accanto alle fabbriche, alla costruzione delle case degli operai-contadini chiamati dalle vecchie province. Si capisce la funzione dell'architettura di regime guardando al corso con occhi nuovi. Il monumento alla vittoria è la stella da cui si dipartono gli assi di penetrazione urbana, viene valorizzato in senso cittadino il borgo di Gries, costruiti i viali come a Parigi fece Haussmann, quasi fossero una sorta di inno all'impero e dunque larghi, profondi, coronati da edifici di grande nobiltà architettonica. Ma di impronta romana: curve secche, intersezioni geometriche, linee diritte, niente curve. Come le città legionarie. Sopra la Libreria Cappelli c'è ancora il bassorilevo di Corrado Vigna, nelle volte degli archi del passaggio che porta in via Reginaldo Giuliani occhieggiano le immagini dell'Italia coloniale, sopra le facciate, le parole di Augusto e della sua pace imperiale di cui Mussolini si riappropria come "rifondatore" anche dell'uomo nuovo.

"É un'architettura vittoriosa - osserva Obermair - straordinariamente omogenea nel messaggio: vittoria nella guerra, nel monumento, ma vittoria anche nella colonizzazione, visto l'esito della guerra d'Etiopia".

Il corso come racconto della città nuova, della Bolzano italiana, ora sganciato dalle polemiche etniche è adesso in grado di svolgere il proprio ruolo di specchio urbano e racconto dello sviluppo di un capoluogo giovanissimo.

Perchè poi corso Libertà costruisce i suoi portici. "Osservateli - spiega la storica Mura- ecco, vedete, non hanno tutte la stessa altezza le colonne. I salti di quota erano notevoli sul terreno, ci sono dislivelli importanti e allora, per conservare la simmetria degli edifici, i portici salgono e scendono, verso Gries...".

Una risposta littoria ma anche moderna (allora) e modernista (oggi) ai portici gotici, bassi e medievali del centro oltre il Talvera. Poi cambia il corso anche nelle epoche. In pieno 1934 la prima parte, anni '40 poco dopo ma scendendo verso piazza Mazzini ecco le case anni '50 e '60 e oltre palazzo Rossi la Rai e tutti gli altri edifici post bellici.

"Abbiamo capito della storia di Bolzano più in queste ore passeggiando sul corso ora e osservandolo, che in anni di letture e racconti" era il coro unanime dei partecipanti al tour. Forse sta proprio nell'architettura, nel passato, la chiave del rilancio, nel presente, di corso Libertà. Che è una mappa, un libro aperto, il diario di una città che è nata, su questa sponda del Talvera, tutta insieme e tutta per cambiare la storia. È anche un po' segreto, il corso. Provate ad entrare al civico 39, a fianco di Cappelli . «Io mi emoziono ogni volta - dice Angela Grazia Mura - quando guardo a queste scale e alla fuga in verticale dei corrimano...". In piccolo, al piano terra, sembrano una miniatura di quelle del Corso. Che adesso non ci sono più e che restano vive solo nelle fotografie in bianco e nero scattate prima del loro abbattimento. Sarebbe meglio non toccare il resto del corso, adesso che sappiamo cosa si è perso in quel caso. "Sarebbe meglio visitarlo tutto” - chiude Obermair. Ecco quale potrebbe essere il suo futuro, dopo anni di crisi in cui si è insistito solo sulla sua identità commerciale: un museo a cielo aperto. "Forse non esiste in Europa un manufatto architettonico così puro - dice ancora - così perfetto nella sua unità storica e urbanistica". Come un plastico che diventa tutto insieme pietra e cemento, case, portici, uffici e piazze.













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