l'imprenditore

Delvai, l’inventore di «Altromercato». I prodotti equi e solidali diventano piatti gourmet

Trent’anni fa l’idea vincente di acquistare direttamente nei Paesi del Terzo mondo pagando prezzi equi. Al Laurin una degsutazione speciale


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Se ho avuto paura? Mai. Oddio. una volta ci sono andato vicino. E' stato nelle Filippine. Lì, in un villaggio compro lo zucchero mascovado. Zucchero di canna puro. È grezzo e scuro e sa di buono. A un certo punto c'è stata la reazione. Ai latifondisti non va che me le vendano direttamente i contadini delle campagne, così si mettono a sparare, minacciano, mandano bande». E la polizia? «Niente. Nessuna indagine, tutto insabbiato. Ma lo zucchero i contadini lo vendono ancora e il prezzo lo fanno direttamente loro, non gli altri». Ecco, quella di Rudi Dalvai è una storia che ci dice come anche andare al mercato a fare la spesa nasconda i suoi pericoli. Soprattutto se è un "Altromercato".

La filosofia. Che è poi anche un marchio. O una filosofia. O una filosofia di vita. Meglio: una filosofia che fa vivere (meglio) campesinos latinoamericani, contadini filippini o coltivatori di mamma Africa. Si può chiamare in tanti modi quello che fa il bolzanino Dalvai: commercio equo e solidale, agricoltura sostenibile, diffusione di prodotti bio prima del "bio", rete distributiva politicamente correttissima. Un’idea nata nell'85, assieme a Heini Grandi e Antonio Vaccaro, quando al supermercato si comprava di tutto e subito senza guardare con la lente o la app del cellulare come si fa ora le percentuali di kilocalorie o i grammi di olio di palma sul retro delle confezioni. Un altro mondo.

«E invece io volevo capire come poteva succedere nell'altro mondo che del magnifico caffè che faceva arricchire i grossisti lasciasse nella miseria chi quei chicchi li coltivava», dice oggi Dalvai , il cui marchio "Altromercato" fattura 50 milioni di euro, distribuisce in 400 botteghe, importa da 150 aziende produttrici sparse in 40 paesi del mondo. terzo mondo soprattutto. Certo, Dalvai, è un commerciante. Viaggia, scopre, tesse relazioni, assaggia, parla coi distributori e alla fine guadagna. Ma ci guadagnano anche tanti altri. E non quelli che ci hanno sempre guadagnato ma chi se lo sognava prima del commercio equo. Un pioniere Dalvai. E un grande viaggiatore. Da un po' è anche il presidente dell'Organizzazione mondiale del commercio equo, come dire che il suo lavoro è stato ampiamente riconosciuto. Tratta con grandi cooperative di produttori che hanno saputo combattere il latifondo, che sanno sgusciare tra governi pigri o complici, sono riuscite a stare insieme, a farsi forza col numero e vendere grandi quantità di prodotti. Ad esempio i suoi amici filippini: «Con quello zucchero mascobado, per dire, abbiamo riempito in un colpo solo 40 container. In parole povere abbiamo trasportato qui 850 tonnellate di prodotto». Grandi numeri ormai. Ma anche (e ancora) piccoli: «C'è una cooperativa che ho conosciuto da poco nel Bangladesh che fattura 80mila euro l'anno. Poco? Per loro è molto. Con questi soldi ci vivono e si stanno allargando».

Il commercio solidale. Quello del commercio equo è stata una progressione commerciale prima lenta poi sempre più sicura. «Nel 2009 stavamo ancora discutendo con la Despar e mettere qualcuno dei nostri prodotti dal mondo sugli scaffali - ricorda Dalvai - e per un po' di tempo è stato difficile trovare un varco. Adesso non c'è punto vendita senza il nostro zucchero o i semi o il cacao».

Anche perché sono tutti rigorosamente bio, ma lo sono sempre stati, non sono il prodotto di una rivoluzione tardiva delle coltivazioni. Tanto che Esselunga, la grande catena distributiva italiana, li ha dal '97 e in Gran Bretagna, per dire, il 40% del caffè è oggi proveniente da filiere come quella di "Altromercato». Filiere di cui Dalvai e i suoi compagni di avventura, verificano l'affidabilità da trent'anni.

I viaggi. «E non a naso - racconta - ma viaggiando in Nicaragua quando ancora le campagne erano percorse dai rivoluzionari e dai contras o in Paesi con più polizia che alberi, parlando con contadini coraggiosi oppure facendo coraggio a villaggi che sentono la pressione del grande latifondo». Ma adesso "Altromercato" è diventato adulto. E Rudi Dalvai si è lanciato ad inseguire ( e raggiungere) un'altra sua idea. "Volevo rompere la percezione, abbastanza diffusa, che nei negozi equi e solidali si va solo per fare un po' di carità. Comprare e mettersi in pace la coscienza. Invece ormai sono super prodotti. Di grande qualità».

Allora si è detto: perché non farlo capire anche al consumatore di nicchia? E sono nate le "fair cooking". In sostanza: si mettono insieme una pattuglia di cuochi stellati, i produttori delle eccellenze locali e le eccellenze del terzo mondo. Territorio ed esotismo. L'altra sera Rudi Dalvai e i suoi erano al Laurin. In una serata di assaggi stellati e stellari.

Gli chef. «Ogni cuoco deve usare per il suo piatto il nostro grano saraceno, per dire, costruire un piatto tipico ma in ogni ricetta immettere un prodotto dell'altro mondo», spiega Dalvai mentre gli vorticano intorno chef e camerieri.

Manuel Astuto e Michael Rabensteiner, ad esempio, hanno fatto un risotto ai carciofi con Quinoa croccante; Burkhard Bacher di Vipiteno ha messo del latte di cocco nella pancia di vitello e Renè Unterhauser tapioca di lampone e zafferano. E c'erano anche Wolfgang Kerschbaumer di Vandoies, Gottfried Messner di Sarentino, Mathias Bachmann di Bressanone, Theodor Falser e Hannes Plankensteiner. E poi i produttori. Come la "Caroma" di Valentin Hofer il quale, per essere un sudtirolese, si è scelto una professione anomala: il torrefattore.

E infatti sfida con i suoi chicchi proprio i produttori esotici con i quali è in contatto Dalvai. E che era lì, l'altra sera in singolar tenzone aromatico. Queste fiere culinarie in cui i prodotti equi vengono fatti transitare nelle ricette stellate per poter diventare più appetibili e vendibili, Dalvai che ha adesso il suo centro distributivo e logistico a Verona, ne ha fatte ormai una decina, con location diverse, dal museo di Teodone alla scuola alberghiera di Bressanone. E la prossima? "Un momento. Adesso parto per le Filippine».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi

Attualità