Don Bosco com’era Il rione nelle foto del prete operaio 

Il Comune espone le immagini di don Gaetano Prati  Era il cappellano delle fabbriche. Lascito del fondo Magosso



BOLZANO. Subito dopo la guerra Bolzano ha fame. Manca tutto. Quello che non le manca è invece la vita. La si cerca ovunque, anche nel lager. Che era stato messo in piedi dai nazisti vicino alle Semirurali e che adesso diventa spazio abitativo. "Cosa si fa con tutti questi bambini che non possono neanche pensare di potersi fare un po' di mare d'estate?" deve essersi chiesto don Gaetano Prati, prete operaio, sacerdote di frontiera, nel senso di stare sempre in mezzo ai bisogni, mentre passava le sue giornate tra mense di fortuna, famiglie disperse ma anche nuove reti di relazioni di rione, lavoro da inventare, fabbriche da ricostruire e nuove luci all'orizzonte. Nasce allora dalla sua mente fervida l'idea di impiantare una colonia elioterapica proprio lì, negli spazi del lager finalmente dismesso, in quel luogo già dell'orrore ma che diventa improvvisamente il campo profughi di un quartiere ancora senza strutture. Via Resia nel dopoguerra è la frontiera di una città in cammino ma anche l'asse delle nuove solidarietà, di una comunità in ripresa. Don Gaetano ci mette anche un asilo, poi assiste, con Daniele Longhi, chi vi ha trovato un alloggio di fortuna. Nasce e cresce in quella situazione, di precarietà ma anche di vita che riprende, l'identità bolzanina dei quartieri. Quella che fa ancor oggi di Don Bosco e dei rioni vicini un unicum, fatto di comune sentire, pur nel passaggio delle nuove generazioni, anche di uno "slang", di una parlata identitaria. Ma don Preti è stato pure, per decenni, il prete delle fabbriche. Era il cappellano dell'Onarmo, l'Opera nazionale assistenza religiosa e morale degli operai. Che voleva dire lavoratori ma pure mogli e figli dei lavoratori e anche chi il lavoro non ce l'aveva ma lo cercava. Era di casa alle Semirurali, don Gaetano come tra i dirigenti delle industrie in Zona, a cui quasi sempre dava del tu, ricambiato. Un mondo, questo tra Lancia, Acciaierie e Don Bosco, tra via Resia e via Milano, tra le poche chiese del rione e le tante fabbriche che incrociavano i loro suoni da mattina a sera: sirene e campane. E questo mondo ora ritorna, grazie all'Archivio storico del Comune che ha avuto in dono l'archivio fotografico di Adelina Dossi, assistente di don Gaetano che a sua volta l'aveva dato in consegna a Emo Magosso, straordinaria figura del rione, fotografo e conoscitore di infinite realtà umane e sociali intorno a via Resia, dove abitava. Dopo la sua morte, nel 2014, la vedova donò l'"archivio Magosso" al Comune di Bolzano. Che proprio in questi giorni ne espone una gran parte in via Portici 30 (nel passaggio tra via Portici e via Streiter), sede dell'archivio storico. Carla Giacomozzi, "anima" della struttura culturale, ha preso in mano la raccolta, una straordinaria serie di foto in bianco e nero e le ha selezionate ed esposte. Lì, tra il volto di don Preti e dei tanti intorno a lui, scorre la Bolzano che sarà quella che è oggi. Una città in cammino in anni, tra il ’50 e il '60 che ne saldano i caratteri. Si vedono le ragazzine e i ragazzini della "colonia elioterapica diurna" dell'ex lager in posa e poi le visite nelle fabbriche, i prelati, i dirigenti d'azienda, delle rinascenti imprese che iniziano a produrre, finalmente. E a creare il miracolo economico bolzanino. Tante persone che non ci sono più, tantissimi che ritroveranno oggi i loro visi da ragazzini, le casette delle Semirurali che allora gli abitanti chiamavano ancora "rione dux" e forse lo nominava così anche don Preti. In un cortocircuito che mette insieme una città in bianco e nero, quella di don Gaetano e dei suoi operai, dirigenti, ragazzi, prelati e una Bolzano a colori, quella immortalata nella sua vita a rapire volti e immagini, di Emo Margosso, altro nome a cui Don Bosco e via Resia sono legatissimi. Insomma, ecco la nostra storia. Che magari è recente ma che possiede tutti i tratti di un nobile percorso di apprendistato urbano. E che restituisce un decennio in cui tutto stava cambiando. (p.ca.)













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