Esclusi da scuola e società così nascono le baby gang

Il fenomeno analizzato dagli operatori che lavorano tutti i giorni con i giovani Vigni (La Strada): «La soluzione è trovare in loro talenti e stimolare le passioni»


di Alan Conti


BOLZANO. Esclusi dalla scuola e dalla società. Piccoli, ma già abbastanza smaliziati per non avere alcuna paura dell’autorità, forti del fatto che, avendo spesso meno di 14 anni, per la legge non sono imputabili. Il fenomeno della baby gang, trasversale per età, quartiere e provenienza preoccupa gli operatori che si confrontano con i giovani ogni giorno. Adolescenti, dagli 11 ai 16 anni, che picchiano i coetanei, rubano, commettono vandalismi, dormono dove capita e saltano persino sulle auto della polizia. Due sedicenni sono stati arrestati rispettivamente per rapina ed estorsione, altri sei, tra gli 11 e i 14 anni, sono stati messi in comunità: un quadro allarmante quello tracciato dalla procuratrice del tribunale dei minori Antonella Fava.

«La prima cosa da dire è che questi ragazzi vanno aiutati. Il loro modo di comportarsi e di relazionarsi è un disperato grido d’aiuto perché si sentono esclusi dagli adulti e anche dalla società», dice Andrea Vigni, coordinatore del centro giovanile Villa delle Rose per l’associazione La Strada-Der Weg. «Noi lavoriamo a 360 gradi con i giovani, non solo con quelli che hanno delle difficoltà. Il nostro tentativo costante è quello di stimolare in loro delle passioni. Dalla musica allo sport passando per il fumetto: sappiamo che possiamo trovare una strada dove incamminarci». A quel punto, però, quanto è difficile coltivare un talento aiutando i ragazzi a tenersi lontani dalle strade? «Non è facile, ma è il nostro lavoro. Cerchiamo di coinvolgerli nell’organizzazione di grandi eventi come Playground o Artmaysound. Il far parte di un gruppo finalizzato a un progetto ha una valenza fondamentale». Ecco, il gruppo: è lì che sono scattate delle dinamiche impressionanti nel caso della baby gang. «È difficile trovare la misura entro la quale un operatore può inserirsi in queste dinamiche. Di certo è tutto molto più facile quando si può agire in un contesto con delle regole generali comuni. Un centro giovanile, per esempio, garantisce questa cornice. I ragazzi di cui stiamo parlando, invece, hanno creato un gruppo senza questa dimensione e può succedere di tutto».

Peter Koler del Forum Prevenzione analizza così il fenomeno: «Quando un ragazzino di 16 anni finisce in galera siamo di fronte al fallimento di tutto un sistema sociale. Anche perché, purtroppo, è facile immaginare come si potrà sviluppare la sua vita. Dobbiamo fermarci a ragionare su questo genere di devianze giovanili».

Come nasce e si sviluppa un fenomeno di tale gravità? «Dall’esclusione. È da lì che parte tutto. Anche il nome “baby gang”, nato nell’ambito dei media, lo hanno presto adottato perché ci si ritrovavano. Hanno fatto gruppo anche in questo». Questi giovanissimi hanno rifiutato anche gli interventi dei servizi sociali.

«Dobbiamo interrogarci su questo. Ci vuole - dice Koler - più strada e più contatto con queste realtà che, altrimenti, rischiano di crescere nell’emarginazione come avviene in alcune grandi metropoli. La trasversalità del fenomeno ci deve mettere in allerta e spronarci». Il sindaco Renzo Caramaschi, intanto l’altro giorno, ha fatto un giro con la polizia municipale nei quartieri per rendersi conto della situazione. «È vero, si respira un’aria pesante. Adesso è arrivato il momento di intervenire».













Altre notizie

Attualità