Fondi riservati, Magnago contrattacca
Il dirigente: «Contro di noi solo accanimento. Il controllo non è previsto dalla legge che i politici hanno approvato nel 1994»
BOLZANO. Eros Magnago, segretario generale e direttore della ripartizione finanze della Provincia, non ci sta. Nell’inchiesta sui fondi riservati la Procura della Corte dei Conti mercoledì ha alzato il tiro ipotizzando non solo la colpa grave (per omesso controllo) ma anche il dolo contrattuale. In poche parole la Procura contabile ritiene che dagli atti sia provata la consapevolezza dei funzionari provinciali (oltre a Magnago anche Roman Sandri, Stefano Natale e Karl Rainer) della “prassi illegittima” messa in atto per anni nella gestione del “conto riservato” dell’ex presidente della Provincia Durnwalder. Un’ipotesi che ha consentito alla Procura di rincarare le richieste risarcitorie, che in un caso - in base ai mandati di pagamento autorizzati nel corso degli anni - superano addirittura il mezzo milione di euro.
Quando fu fatta la legge sui fondi riservati, a metà degli anni Novanta, Magnago era (dopo essersi aggiudicato un concorso pubblico) un funzionario della Corte dei Conti ed oggi ammette di trovarsi in una strana situazione, quasi kafkiana. «La premessa - spiega il segretario generale della Provincia - è che nell’amministrazione pubblica nessuno si inventa nulla, tantomeno i compiti che deve assolvere. Quindi sono convinto che - in questo momento - ci sia solo accanimento nei nostri confronti».
Il fatto che i quattro funzionari non siano stati interessati dall’inchiesta penale (che vede coinvolto invece l’ex governatore altoatesino Luis Durnwalder) proverebbe che nel loro comportamento non è stato ravvisato un comportamento doloso. Magnago sottolinea, poi, che quella legge non l’ha certa voluta lui.
«Il consiglio provinciale l’ha approvata nel 1994, in aggiunta alle spese di rappresentanza, che già c’erano. E si tratta di una legge che non prevede un controllo. Come non lo prevedono nemmeno le circolari».
Un altro aspetto non trascurabile, secondo Magnago, è che «i mandati di pagamento - oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura contabile - sono verso il presidente e non nei confronti dei beneficiari». Come dire che i funzionari non potevano che firmarli. «Gli importi dei fondi riservati, venivano determinati di anno in anno nel bilancio provinciale e ai singoli dirigenti la legge non ha mai attribuito alcuna discrezionalità». Magnago, Natale & Co. non potevano, dunque, evitare di firmare. Ecco spiegate, dunque, le perplessità per l’impostazione dell’accusa, arrivata a contestare, come detto, il dolo contrattuale. «Era nostro dovere, pertanto, assicurare la disponibilità di denaro richiesta dal politico. Proprio come prevede la legge».
In caso contrario i funzionari coinvolti avrebbero rischiato di incorrere in pesanti provvedimenti.
«Se ci fossimo rifiutati di firmare i mandati di pagamento avremmo rischiato, nella migliore delle ipotesi, l’apertura di un procedimento disciplinare». L’unica (magra) consolazione è che la classe politica abbia riconosciuto, seppur tardivamente, che una simile gestione dei fondi riservati non era “opportuna”, tanto da decidere di cancellarli. Di sicuro per la magistratura contabile sarà difficile provare la consapevolezza dei funzionari su questa “prassi illegittima”.
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