I lupi divorano il tricolore, è polemica 

Il video in una mostra al Museion. Urzì presenta un esposto, Ragaglia si difende. Delle Donne: «Mai una bandiera tirolese...» 


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Due lupi palesemente affamati in una landa desolata vedono un tricolore, una bandiera italiana lasciata lì chissà da chi e chissà da quando e la azzannano, la sbranano, strappandosi di bocca l'uno con l'altro gli ultimi lembi. È tutto in un video di qualche minuto in mostra al Museion, quarto piano. All'interno della rassegna «Haematli-Patriae». Ora questo filmato, un'operazione concettuale di Filippo Berta dal titolo "homo homini lupus", è sul tavolo della Procura. L'ha inviato Alessandro Urzì, consigliere provinciale di Alto Adige nel cuore, fresco esponente di Fratelli d'Italia, accompagnandolo con un esposto denuncia. E ora dice: «C'è sempre di mezzo la bandiera italiana. Come l'inno di Mameli nel water. Una provocazione artistica? Bene. Ma visto che qui l'identità sensibile a certe provocazioni non è quella italiana ma quella sudtirolese che sarebbe successo se i lupi avessero sbranato quella bianca e rossa? Ancora non l'ho visto al Museion...». Risponde Letizia Ragaglia, la direttrice: «Il video è su Rai cultura. Dunque, è stato considerato di buon livello immagino. E Filippo Berta ha vinto il Maretti Awards a Cuba. L'arte contemporanea usa spesso questi linguaggi, analizza i miti, scardina le identità. Berta è italiano e ha lavorato sulla bandiera italiana. Coglie l'identità che gli appartiene. Nell'arte non si offende, si riflette...». Che aggiunge: «L'intento dell'artista è stato anche quello di dire: con la bandiera i lupi diventeranno più forti... E infine, come elemento di ironia interetnica, al vessillo sono stati aggiunti dei würstel per indurre i lupi, addestrati, a fare il loro lavoro». Ma i precedenti sono molti, al riguardo. Le artiste Goldi&Chiari, Sara Goldschmied e Eleonora Chiari , proposero, sempre al Museion, uno sciacquone che quando si attivava lo faceva al suono dell'inno d'Italia. E anche allora esplosero le polemiche. Ma Urzì si riallaccia soprattutto al primo episodio di critica identitaria, il Cristo di Kippenberger che ironizzava sui miti etnico- religiosi tirolesi , unendo birra e vangelo e scardinando i formalismi di un uso politico anche della fede: «Ebbene- ricorda il consigliere di centrodestra - ci fu una sollevazione di tutta la Svp e di Durnwalder in particolare che fecero rimuovere l'opera». Il tema, dunque, per Giorgio Delle Donne, intellettuale e storico attento a cogliere le contraddizioni della nostra convivenza, è proprio questo: «Mi dispiace, e molto, dare ragione a Urzì. Non quando critica la libertà dell'arte e degli artisti, che dovrebbe essere assoluta. Ma proprio per questo dico: giusto che Goli&Chiari prendano in giro l'inno italiano, che Berto strappi il tricolore... Tuttavia, mi aspetto allora, per giusta proporz, che il Museion proponga tre opere che sbeffeggiano la bandiera del Sacro cuore o quella tirolese. Sai quanti Urzì tedeschi e quanti Svp e Schützen marcerebbero sotto l'ufficio della Ragaglia...». L'esposto di Urzì viene giudicato comunque dalla direttrice «una speculazione politica». Il consigliere a sua volta, specifica che si prefigura «il vilipendio alla bandiera».













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