L'INTERVISTA la docente universitaria antonella brighi 

Il bullismo si combatte con educazione e rispetto 

Il convegno. La situazione in Alto Adige è meno grave rispetto al resto della scuola italiana ma non bisogna abbassare la guardia: fondamentale resta l’alleanza tra insegnanti e genitori


PAOLO CAMPOSTRINI


Bolzano. Non siamo messi bene, a bullismo. «C'è una percentuale alta di episodi» rivela Antonella Brighi, docente a Scienze della formazione che ha radunato alla Lub chi presidia le trincee più avanzate nella lotta al fenomeno, i ricercatori di confine, gli autori delle analisi più accurate. «L’Alto Adige? Beh, gli adolescenti qui mostrano una controtendenza positiva, rispetto al resto della scuola italiana: gli indicatori del benessere nelle aule sono in crescita. Ma poi i numeri ci dicono anche altro. Che episodi di violenza verbale, aggressioni, mancanza di rispetto verso i più deboli accadono in percentuali preoccupanti. E questo è grave». E arrivano le segnalazioni. Almeno dieci nell'ultimo anno, a Bolzano. «Così, quando capita - dice Ivo Plotegher, ispettore della Polizia postale - ci presentiamo nelle scuole in divisa. Proviamo anche così a far capire che non è un gioco. Che la questione è grave, è normale. E spesso , parlando con i ragazzi, si scopre che è difficile far capire loro l'importanza delle parole. E che un insulto scritto in web non è meno violento e doloroso di quello urlato nel corridoio...». Perché oltre al bullismo, c’è anche il cyberbullismo. E tante volte , tra genitori e insegnanti, si cercano strade per arginare le due questioni senza trovarle subito. E allora si chiede aiuto. Ma verificando poi che il mondo esterno, financo la politica e i giornali, tutto fanno perché un ragazzo si trovi ad affrontare una navigazione nella vita molto perigliosa con appoggi e riferimenti virtuosi sempre più labili.

E dunque, professoressa Brighi?

I numeri ci dicono che anche l'Alto Adige soffre del fenomeno. Per questo abbiamo organizzato questo convegno di due giorni alla Lub (anche domani, dalle 8.30 alle 15.45 con ricercatori, insegnanti ed esperti da tutto il mondo, anche dall'Australia, ndr). C'è la necessità di mettere insieme tutte le esperienze.

Risultati?

Li stiamo riordinando.

E che ci dicono?

Bisogna percorrere strade parallele. Da un lato l'educazione alla legalità. Che passa soprattutto per l'allenamento al rispetto delle diversità. Siano razziali o di genere, legate all'aspetto fisico o ai comportamenti. Occorre poi lavorare con gli insegnanti per creare ambienti dove ci si muove con gentilezza e rispetto. E poi la rete. Non basta la scuola. Sempre più vanno coinvolti i genitori, che spesso hanno gli stessi problemi dei figli in termini di uso delle parole, e soprattutto le istituzioni.

Che cosa avete registrato tra gli adolescenti, analizzando il fenomeno?

Che cresce la percezione della normalità a proposito di episodi di chiaro bullismo. Mi spiego: tanti ragazzi ritengono che usare certi termini, deridere, insultare anche , sia quasi ovvio, faccia parte di uno stile di vita e di comportamento.

Nonostante le scuole facciano di tutto, no?

La scuola in Alto Adige ha alte percentuali di "benessere scolastico" come si chiama questo parametro. E gli sforzi sono a volte enormi. Ma non basta ormai fare un convegno ogni tanto, proporre seminari. Deve essere una pratica quotidiana. E i filtri devono essere diffusi e vigili".

Le istituzioni offrono aiuto?

Cresce anche in loro la consapevolezza. Perché a volte c'è bisogno di supporti individuali. Verso singoli episodi e individui. Ma temo che le cose stiano peggiorando tra gli adolescenti...

Che vuol dire?

Che quello che noi chiamiamo bullismo, nei suoi aspetti magari meno evidenti, stia diventando un fenomeno sistemico.

Cioè anche fuori dalla scuola e dall'adolescenza?

Quando parliamo di educazione alla diversità e alla legalità, c'è come la sensazione che si tratti di norme culturali non proprio così presenti come in passato nella società. Che lo sdoganamento di alcuni termini nel rivolgersi alle persone, l'insulto mischiato ai ragionamenti abbia ormai vita facile. Sia molto presente.

Vuol dire che i ragazzi hanno di fronte modelli di comportamento sempre meno positivi?

Temo questo. A leggere i giornali, a guardare i dibattiti in tv, a scorrere i social non sono solo gli individui, i normali cittadini a usare un certo linguaggio. E' tante volte la stessa politica, quella che occupa le istituzioni a usare parole veloci e senza filtri, postare definizioni violente o a prediligere il luogo comune. Soprattutto per quanto riguarda i diversi, gli ultimi. O magari anche le donne.

Insomma, un lavoro lungo...

Certo. E complesso. Perché se la scuola fornisce modelli buoni ma poi, fuori, la politica e la società fanno il contrario...

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