Il medico che combatte l’Aids e continua a salvare vite

Il dottor Raffaele Pristerà è stato per 30 anni in prima linea nella difficile battaglia contro la malattia Ora che è in pensione prosegue da volontario il suo impegno per la prevenzione e la cura


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. «“L’Aids da noi in Alto Adige, non arriverà mai è un’invenzione di Pristerà”, purtroppo si sbagliavano». Così il dottor Raffaele Pristerà ricorda quei responsabili dell’ospedale altoatesino che si opponevano ai viaggi studio del medico infettivologo che all’inizio degli anni ottanta per poter studiare come curare la malattia del secolo si recava a Milano, dove il virus si era cominciato a diffondere: «I primi casi erano gli omosessuali, tant’è vero che agli inizi si pensava allo sperma come veicolo di infezione o al nitrito di amile che è una delle sostanze che si adoperavano per avere una maggiore potenza erettiva, tant’è vero che si chiamava anche la malattia dei “popper’s” perché “pop” era il rumore che faceva la fiala di nitrito quando si apriva. Solo dopo si è capito che si trattava di una “zoonosi” cioè una malattia che dagli animali passa agli umani, come l’aviaria e la “mucca pazza” per intenderci, l’aids veniva dalle scimmie e mutando era diventata patogena anche per l’uomo». Pristerà arriva al reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzanonel1976. Il primi lavori in letteratura arrivavano nel 1981, lo scopritore Gallo, disse che nel giro di due anni avrebbero scoperto il vaccino, la storia non gli ha dato ragione. «Il primo caso a Bolzano fu nel 1984, me lo ricorderò sempre, era un prete brasilano omosessuale, che era qui in vacanza, si è ammalato qui, mandammo il sangue a Milano perché il test commerciale ancora non era disponibile, fu il quattordicesimo caso di Aids denunciato in Italia».

Nel frattempo Pristerà viaggia spesso all’ospedale Sacco di Milano, dove si cominciano ad avere molti casi anche tra i tossicodipendenti, lui studia i primi testi di letteratura, segue le prime terapie, ma un responsabile della sanità altoatesina è contrariato da questi viaggi, secondo lui la malattia non in Alto Adige non arriverà mai. Si devono attendere 3 anni perché sia smentito: «Nel 1987 abbiamo avuto il primo caso autoctono e nei numeri certo non abbiamo avuto l’incidenza delle grandi città, ma anche noi avevamo 6-7 casi sucentomila abitanti, per un massimo di 18 -30 casi all’anno. Casi che sono aumentati fino al 1995 quando finalmente è arrivata la terapia valida». Le prime terapie infatti sono molto dannose e servono a prolungare la vita solo di qualche mese: «Sono stati anni difficili, la mortalità era del 30 per cento entro il primo anno e del 95 per cento entro il terzo, tra i pazienti c’erano madri, bambini, era durissima soprattutto per il personale infermieristico. La condizione psicologica poi era particolarmente difficile, perché si parlava di “castigo divino”, c’era il terrore che si sapesse in giro. Da noi il grosso problema era per le infermiere, che erano psicologicamente molto sotto stress. Avevamo dai 15 ai 20 decessi all’anno». La svolta arriva nel 1995 con la nuova terapia: «Oggi la mortalità si è abbassata allo 0,5 percento - tuttavia per il medico non bisogna abbassare la guardia - finché non avremo un vaccino, l’Hiv ci sarà sempre. Oggi noi sappiamo che l’aspettativa di vita è di trenta quarant’anni, è buona certo prenderla a vent’anni può rappresentare ancora un problema».

Nel 2012 il dottor Pristerà è andato in pensione, nonostante ciò continua a combattere contro la malattia, prestando gratuitamente i suoi servizi all’associazione Pro-positiv, che da anni si occupa del tema dell’Hiv in Alto Adige, attraverso azioni di sensibilizzazione nelle scuole, campagne e iniziative come quella di qualche giorno fa in occasione della giornata mondiale dell’Aids, proponendo test gratuiti nel parco della stazione, anche grazie a un nuovo tipo di test che ha una efficacia anche a distanza di tre settimane dalla presunta esposizione al virus, e con un semplice prelievo capillare, quindi con una minima quantità di sangue riesce a dare un responso in solo tre minuti di tempo. «Un test all’avanguardia che abbia in pochi in Italia, a Bolzano grazie alla Provincia che finanzia questo progetto ce l’abbiamo. È facile, veloce, anonimo, gratuito lo si può fare in sede qui da noi su appuntamento, in via Bari 14/C. Solo l’anno scorso ne abbiamo fatti più di 500». Ma chi arriva nell’associazione non trova soltanto un test ma un medico che è capace di empatizzare con i pazienti: «Spesso i pazienti ci raccontano le loro storie, storie legate al sesso, e ci ritroviamo anche a fare da consulenti. Una delle vittorie più belle della mia carriera è stata ed è tuttora far fare la terapia a gente che non la vuole fare. Molte persone per tutta una serie di motivi, che vanno dalla paura, al senso di rassegnazione, a pazienti con grossi problemi psicologici, non vogliono farla, la sfida è trovare la chiave per entrare nelle loro teste per fare in modo che accettino le terapia».

Intanto quest’anno ancora ci sono stati 14 nuovi casi: «Purtroppo secondo i dati che abbiamo sulla nostra provincia, c’è da rimarcare che i casi di comportamento a rischio omosessuale sono decisamente ancora la maggioranza».

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