In Alto Adige si adottano pochi bambini

Dal 2001 ad oggi in regione sono arrivati attraverso il lavoro dell’associazione AiBi 140 minori, in provincia circa 60


di Valeria Frangipane


BOLZANO. «Viviamo in una provincia più che fortunata. Potremmo condividere la nostra buona sorte con altri. Ma facciamo ancora troppa fatica». Paola Cozza, avvocatessa, referente per il Trentino Alto Adige dell’associazione Ai.Bi. - Amici dei bambini - invita le famiglie ad una maggior solidarietà. «Dal 2001 ad oggi in regione sono stati adottati - con il nostro sostegno - 140 minori arrivati soprattutto dal Sudamerica, dalla Cina, dall’Est Europa ed in misura minore anche dall’Africa. In Alto Adige ne abbiamo aiutati una sessantina ma Trento ha un cuore più grande di noi. Vuol dire che possiamo fare di più. Pensate solo che ogni anno centinaia di coppie si rivolgono al Centro di sterilità di Brunico perchè cercano di avere un figlio. Ecco, invito tutte queste coppie - costrette spesso ad un percorso doloroso e difficile - a ricordare che esiste anche la possibilità di adottare chi non ha più una famiglia. Lo so, lo capisco, il passo non è affatto facile». Non è facile perchè non ha il tuo dna ed ha già una sua storia alle spalle. Ma si può fare. «Per noi è importantissimo stimolare le coscienze. Credeteci, un figlio adottato non è meno figlio di un altro».

Lo sa molto bene Michela Apolloni, 43 anni, fisioterapista, madre di due bambini adottati. Un cileno ed un cinese. «La nostra famiglia è particolare. Inizia che sembra una barzelletta. Ci sono due italiani, un cileno ed un cinese...». E sorride. «La mia - racconta - è la storia che vivono molte coppie che si sposano e cercano un figlio che non arriva. Per averne uno nostro le abbiamo provate tutte ma poi ci siamo fermati. Questa non è la nostra strada - ci siamo detti - ed abbiamo pensato che forse l’adozione era la via giusta. Ricordo molto bene. Era il 2012 ed abbiamo presentato la doppia domanda. Quella nazionale ed insieme l’altra, internazionale. Dopo un anno ci hanno chiamato. Ci aspettava un bimbo cileno di 4 anni e mezzo. L’abbiamo visto in foto e ci si è aperto il cuore. Non so descrivere l’emozione, irraccontabile, credetemi bisogna esserci passati per capire. Era lì, ed era nostro figlio. Siamo andati a prenderlo a Santiago. Il piccolo già sapeva tutto e ci aspettava. Ci ha salutato in spagnolo - tra il resto prima di andarlo a prendere avevamo fatto un corso per potergli dire qualche parola - e ci ha abbracciato con una frase che dice tutto: “Siete voi, siete mamma e papà per sempre”». Passano due anni, il bambino cresce e chiede un fratellino. «A dire il vero avevamo subito cercato una doppia adozione che però non era arrivata. Così abbiamo ripresentato tutte le carte, rifatto la trafila e riconsegnato ancora una volta doppia domanda. Era il 2014 ed a fine 2015 ci hanno chiamato. Avremmo dovuto andare a prendere in Cina, Yang, un anno e mezzo. Ringraziamo molto l’associazione - che ci ha aiutato nell’iter burocratico, assolutamente non facile - e l’assistente sociale Michela De Santi che ci è sempre stata vicina. Volevamo metter su famiglia, accogliere e crescere dei figli. Ed eccoci qui». Ma non ci sono solo coppie che non riescono ad avere figli che optano per l’adozione, ci sono anche coppie che hanno figli biologici e che scelgono di condividere la loro vita con altri meno fortunati. E anche per loro i figli sono tutti uguali. Certo serve una particolare apertura e predisposizione al prossimo. E non è affatto facile.













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