In fila per Zalone: «Lui razzista? No ci prende in giro» 

Il film. Al Cineplexx due sale per Tolo Tolo e una proiezione ogni ora. Meno risate ma all’uscita tante discussioni sui migranti e i nostri difetti 



Bolzano. Quando il film finisce sono appena le tre e tre quarti. «Abbiamo capito che con Zalone occorre iniziare le proiezioni il prima possibile e finirle più tardi che si può...».

Sorride Marlene Sebastiani - responsabile marketing del Cineplexx - mentre guarda la fila che si infittisce per il prossimo spettacolo.

Cineplexx già pieno. C'è ancora chiaro fuori. “Tolo Tolo” avanza a tappe forzate: due sale per Checco. Il suo film va ogni ora. Il Cineplexx sta pensando di aumentare le sale dedicate a tre. Per la responsabile di una multisala sono numeri da un sorriso largo così. Otto milioni in Italia il primo giorno.

A Bolzano, tra Cineplexx e Uci al Twenty, i primi conti, invece, si faranno passato il fine settimana. «Ma ho pochi dubbi...».

I dubbi erano invece: farà ridere di meno?

Maria Grazia e Helmuth escono per primi. Discutono. Sfilano con un paio di altri amici. «Battute? Beh, sì. Tante. Ma poi sembrava un reportage...». Mai visto all'uscita di un film di Zalone tanta voglia di parlare. Razzista? «Ma chi, lui? Non scherziamo. Ho capito più cose sull'immigrazione guardando Tolo Tolo che in decine di dibattiti in televisione», dice Dario, che non ha più vent'anni ed è venuto, conferma «per vedere se tutto quello che avevano detto i social era poi vero». L'idea di molti è invece che in tanti ci abbiano capito poco, cliccando commenti subito dopo aver visto il trailer. In realtà Zalone è buonista e cattivista insieme, frulla la destra e la sinistra ma tiene al centro una sola cosa: ci prende tutti per i fondelli. Fa la parodia del razzista inconsapevole facendo ridere chi è sul serio un razzista magari sperando che si guardi allo specchio e veda che Zalone è lui. Canta “Faccetta nera” su un camion zeppo di poveri migranti in mezzo al deserto consapevole di usare il surreale per colpire i nostri luoghi comuni e molto più lucidamente di un regista da film d'essai.

Entra Guido Rispoli al Cineplexx. Poco dopo lo affianca Angelo Gennaccaro. Il procuratore e un assessore. Due parole insieme: «Entriamo a vedere Tolo Tolo. E cosa se no? Ne parlano tutti come se lo avessero visto e magari non è vero. Per cui ci andiamo...».

Luciano Giovannelli arriva a pochi minuti dalla proiezione: «L'han buttata in politica, ho letto. Io vorrei solo sorridere un po'». Se si entra con questo spirito, Zalone è quello che ci vuole. Perché il film è talmente lontano dal detto in anticipo e a tal punto persino commovente che quelli che gli hanno subito dato “del qualcosa” sono i primi ad essere colpiti.

Lui è in fuga in Africa dalla partita Iva e da Equitalia, i suoi compagni di viaggio, gli africani, sono invece in fuga dalle guerre e dalle bombe.

Ma Checco ha tempo di guardare l'amico nero mentre si fanno la doccia insieme e rispondere così alle risate dei bambini del villaggio che lo rimirano: «Ragazzi, è inutile che vi stupiate, la mia è la misura standard in Europa. Dovreste vedere mio cugino. Lo chiamano mignon...». Non vede la povertà perché è alla ricerca di una crema all'acido ialuronico “ma che sia gold”; baratta maglie di Armani e slip di Dolce e Gabbana per un pass su un pulmann sgangherato ed è disposto a sognare una Nazionale italiana tutti di neri alla Balotelli o un Papa nerissimo pur di passarsela tra un posto di blocco ed un assalto dell'Isis. È più di mister Bean e al di sopra di mister Magoo nel non capire chi è e dove si trova, nel vedere nei disastri del mondo solo la mancanza di un paio di mocassini con i pallini sulla suola. «Adesso non sono più della Lega e allora posso andare a vederlo» scherza a sua volta Carlo Vettori, appena fuoriuscito dal Carroccio in consiglio provinciale. «Dopo il gioco sull'ampolla del Po in Cado dalle nubi- insiste - Zalone è fuori da ogni ideologia. È solo lui».

Carlo Bassetti ne ha per i suoi amici di sinistra-sinistra che «vedono la politica ovunque e vogliono mettere tutto nelle caselle giuste» e pure per la destra «che non si accorge che quell'Italia cialtrona che Zalone filma compiacendosi sono loro...».

E cita l'Osservatore Romano: «Per capire come e perché l'Italia è diventata così servirebbe andare a vedere i suoi film».

Per Alessandro Urzì si fa invece politica dove si dovrebbe solo parlare di espressione artistica, di «zona franca in cui tutto è possibile e deve essere permesso». In effetti Checco non ha complessi. Rifiuta ogni schema. Perché lui, più che in Italia, quando è sul barcone in mezzo al mare vorrebbe andarsene in Lichtenstein: «Lì ci sono meno ritenute...».

È l'eterno italiano. Cioè noi. P.CA.













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