«Io sono di Oltrisarco»: orgoglio, impegno e orti  

Grande successo di M5S e Lega, accanto ai nuovi esempi di comunità  Proteste per i richiedenti asilo, traffico, inquinamento. Ma i giovani ritornano 


di Francesca Gonzato


BOLZANO. Oltrisarco e Aslago, nome doppio per un quartiere che è sempre stato tante cose. I pezzi possono incastrarsi, oppure respingersi, da decenni. Ma è un quartiere: senso di appartenenza e capacità di cambiamento, conflitti. Cinque ragazzi del centro giovanile Bunker si sono appena fatti tatuare «Oltri» sul polpaccio. Origini cinesi per uno di loro, marocchine per un altro. Poco distante Andrea Fogli, titolare della gelateria «Mario», dice: «Sono orgoglioso di Oltrisarco». È un quartiere popolare, con una età media alta e una forte presenza di residenti stranieri, problemi irrisolti con il traffico, una battaglia aperta contro l’inquinamento, prima con le Acciaierie, adesso con l’A22. È uno dei quartieri «misti» per gruppi linguistici. Qui c’è la porzione di quartiere costruito per gli optanti di ritorno, uno dei nodi irrisolti della storia altoatesina.

Il punto di partenza sono i risultati delle elezioni. Il Movimento 5 Stelle è il primo partito con il 24,86% (la media cittadina è del 22,38%). Al secondo posto, come a Don Bosco, non il Pd, ma la Lega con il 17,94%. CasaPound ha aperto una sede. Voto di protesta, desiderio di cambiamento e malessere, ma il filo rosso di Oltrisarco-Aslago è il bisogno di comunità.

«Perché tanti voti anche qui, come nel resto d’Italia a Movimento 5 Stelle e Lega? La promessa di reddito di cittadinanza ha smosso tante persone. Vediamo se manterranno la promessa. E la Lega raccoglie voti perché parla del disagio per gli stranieri, che c’è anche qui», racconta Andrea Fogli. Si arriva subito lì, ai richiedenti asilo «che stavano in piazzetta perché c’era il wifi, adesso lo hanno tolto. Le persone si chiedono “chi gli dà i soldi per quei telefonini?”». È la storia dell’ultimo arrivato, ammette lo stesso Fogli, «che può diventare una valvola di sfogo, ma un quartiere di periferia vive con il timore che tutto si scarichi qui. Se decideranno di spostare i profughi dal centro, non possono immaginare di portarli da noi. Nel quartiere c’è gente che fa fatica. La rabbia diventa una reazione». Fogli introduce così il tema del quartiere che macina il cambiamento: «Con gli stranieri residenti qui da tanti anni non c’è problema. Hanno gli stessi problemi nostri. E poi stanno arrivando un po’ di giovani, grazie ai prezzi un po’ meno cari delle case». Sandro Repetto, assessore alle Politiche sociali, originario di Gries, è uno dei tanti consiglieri ed ex consiglieri che vivono qui: «Oltrisarco è un quartiere in piena trasformazione. Pensiamo alle opere dell’ex Mignone e della parrocchia del Santo Rosario. Ci sono supermercati, farmacie, impianti sportivi, sopravvive il commercio di vicinato, anche se dicono di no. Certamente è uno dei quartieri con una alta densità di case comunali e Ipes e che ha dovuto imparare la convivenza con gli stranieri: nelle scuole elementari la presenza di bambini con genitori stranieri è del 20 per cento. È un quartiere invecchiato, con difficoltà di collegamento con le case alte di Aslago, su cui si sta intervenendo. Ma nei decenni Oltrisarco ha salvato l’identità di quartiere popolare, cresciuto attorno a una forte comunità operaia. Una volta votavano a sinistra, poi si sono spostati a destra, la scommessa adesso sono i 5 Stelle. Come esponente del Pd non ragiono su questo solo dal 4 marzo...». A «Vivi Maso della Pieve» si lavora sul senso di comunità. Politica dei piccoli passi. Non prendere di petto il tema dell’ostilità verso gli stranieri, ma seminare occasioni di contatto. «Contro la paura c’è solo la conoscenza», è la sintesi di Rachele Sordi e Giuseppe Elia, due degli operatori del progetto finanziato dalla Assb. Un appartamento di fronte alla zona sportiva di via Maso della Pieve ospita le attività che i residenti vengono a proporre. L’altra mattina uno studente era impegnato nel corso di smartphone utile ai non giovanissimi. I ragazzi del cohousing Rosenbach, che devono garantire ore di volontariato al quartiere, stanno per iniziare le serate con il Watten. Ci sono gli orti comuni, i corsi di danza, di yoga, di cucito, di lingua. Le cene etniche cucinate dalle signore del quartiere attirano fino a quaranta persone. «Se parti dai bisogni, le persone arrivano. Le cene sono una scintilla. Le signore straniere iniziano ad uscire, si ritagliano spazi di indipendenza. I residenti “autoctoni” passano dal sentito dire alla serata gomito a gomito», racconta Rachele Sordi, «Nessun miracolo, si procede passo dopo passo. I cambiamenti non possono essere obbligati, ognuno trova la propria strada». Di fronte c’è Giovanni Bonadio che passeggia sulla ciclabile. È il presidente dell’Ana di Oltrisarco. Non è stupito del voto e si è dato una lettura: «A Bolzano si sta bene, sbaglia chi dice il contrario. Ma...». Cosa? «Le persone si focalizzano sulle piccole cose, che danno fastidio. Una marciapiede messo male, una fermata dell’autobus dissestata. Lo segnali al Comune, non risponde, si crea un fastidio, che si accumula ad altro. Poi ti dicono che siamo una realtà ricca, che abbiamo fior di servizi, ma a forza di stare seduti in poltrona a dire che siamo i migliori succede che gli altri ti superano». Gli stranieri? Mi piacerebbe che imparassero le nostre abitudini. Di nuovo, le piccole cose: non si buttano le carte per strada. E le grandi: le donne si rispettano».

Quanto agli alpini, dice Bonadio, «stiamo diventando vecchiotti, chissà cosa succederà dell’Ana tra un po’ di anni. Siamo importanti per le persone. Oltrisarco è molto affezionata agli alpini, dicono che diamo loro fiducia. Partecipiamo alla colletta alimentare, quando c’è una festa prepariamo il brulè, organizziamo gite. E l’adunata del 2012, che festa... Lì si è rotto il ghiaccio tra italiani e sudtirolesi. Ci siamo divertiti insieme». Gaia Palmisano è una delle operatrici del «Bunker». È un centro per ragazzi dalle scuole medie in su, di tutti i gruppi linguistici. «Siamo una delle realtà interetniche che funzionano», racconta Gaia Palmisano, «italiani, sudtirolesi, stranieri di seconda generazione». Sono uno spazio aperto, che offre una alternativa alla strada. Tra i loro ragazzi, racconta, «il problema più forte è il burn out scolastico, bocciature ripetute fino all’abbandono, e la mancanza di lavoro». C’è un dentro e un fuori: «Al Bunker arriva chi ha voglia di fare delle cose. Chi crea problemi viene estromesso. E lì devono esserci gli operatori di strada, altrimenti li perdiamo». Judith Kofler Peintner è la referente del gruppo Svp del quartiere e presidente del consiglio parrocchiale. Vive ad Aslago da 40 anni. Conferma: «Siamo tutti molto legati a questo quartiere, che vediamo cambiare. Pensavo che il nostro gruppo di case sarebbe diventato un po’ alla volta un centro anziani. Invece diversi di noi lasciano la casa ai figli per spostarsi in appartamenti più piccoli, allora tornano i giovani, si rivedono i passeggini nell’atrio». Così l’Aslago dell’ex assessora: «La mia zona è particolare. C’erano queste case nuove in cui si sono trasferite praticamente solo famiglie di lingua tedesca non bolzanine, arrivate nel capoluogo per motivi di lavoro. Eravamo tutti nuovi e lontani dalle famiglie di origine. Abbiamo fatto comunità, ci siamo aiutati e quei rapporti resistono ancora, soprattutto attorno alla parrocchia. Sono nate amicizie anche con famiglie italiane delle vie più basse». Come si è declinata la presenza degli ex optanti? «Quando sono arrivata, c’erano già da tempo. Non saprei cosa dire, non l’ho mai percepita come una ferita, forse non ne volevano più parlare».

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