Jaro, l’ex campione di scacchi caduto in disgrazia

BOLZANO. Amava gli scacchi Jaroslav Kohl. Nella sua vita ai margini, l'unica cosa che aveva deciso di tenere con sé era quella scacchiera. La stessa che ha trovato la polizia domenica pomeriggio...


di Alessandro Bandinelli


BOLZANO. Amava gli scacchi Jaroslav Kohl. Nella sua vita ai margini, l'unica cosa che aveva deciso di tenere con sé era quella scacchiera. La stessa che ha trovato la polizia domenica pomeriggio accanto al suo corpo oramai privo di vita. Era stato un giocatore di buon livello, abituale frequentatore di tornei nazionali e internazionali. Poi nella sua vita accade qualcosa. Chi lo ha conosciuto parla di una separazione dalla moglie, di due figli mai più rivisti, forse il colpo che gli cambia la vita. Gli ultimi tornei nel 2004 poi più nulla. L’ex campione viaggia a sud alla ricerca di una seconda occasione e senza trovarla giunge a Bolzano. Sarah Trevisiol, scrittrice e filmaker, lo incontra due anni fa e ne realizza un toccante ritratto per il progetto di Sagapò Teatro e Volontarius “Oltre la facciata”. «Lo frequentai alcune settimane nel 2014, era una persona intelligente e sensibile, ma piena di vergogna per la sua condizione. Aveva perduto il rispetto per se stesso e questo metteva un muro tra lui e il resto del mondo. Spesso mi diceva “Non ho più un ruolo, non servo più a nessuno”. L’unico momento in cui ritornava lucido era quando giocava a scacchi. Si metteva in piazza del Grano con la sua scacchiera e aspettava che qualcuno si fermasse a giocare, naturalmente vinceva sempre lui». Jaroslav aveva compiuto 50 anni a novembre, da qualche anno girava per Bolzano, ma spesso partiva, stava via per un po’ e poi tornava. «Ultimamente diceva che voleva riallacciare i rapporti con la sua famiglia in Repubblica Ceca, parlava di una sorella, ma temeva di non farcela, spesso mi diceva che non sapeva da dove cominciare. Ripeteva spesso: “Finché non perdi tutto non ti rendi conto di quello che hai”. Soffriva molto per il fatto di non aver più visto i suoi figli. Era la solitudine il suo grande problema». Qualche anno fa, in Grecia aveva trovato un amico, un cane: “Era buono - scrive Sarah nel suo ritratto di Jaroslav- Era un cane buono e si faceva accarezzare da tutti». E Jaroslav le raccontò: “Mi seguiva ovunque e ci aiutavamo a vicenda. Per chi è solo, un amico al proprio fianco vale più di ogni tesoro. Un mattino non l’ho più trovato, era sparito. Sono certo che non sia scappato, perché non l’avrebbe mai fatto. Sono sicuro che sia stata la polizia greca a portarmelo via perché spesso cerca di catturare i cani randagi. Greco però non era randagio, era il mio cane. Probabilmente li ha pure seguiti con curiosità, non abbaiava mai, era sempre alla ricerca di coccole. Ancora oggi se penso a lui mi piange il cuore, il mio migliore amico, scomparso così, senza motivo”.

Luca De Marchi, volontario, lo ha conosciuto durante la distribuzione dei pasti in piazza Stazione: «Jaroslav era un tipo schivo, non veniva a prendere il cibo al camper nel parco, per questo glielo portavo io. Soffriva molto di solitudine, per dimenticare beveva tanto, il vino lui lo chiamava “Tebletten” (medicina). Tre anni fa si era rotto una gamba, ma non aveva un buon rapporto con gli ospedali, non ci andava». Si vergognava Jaroslav, sentiva il peso del giudizio degli altri, per questo, forse anche l’altra sera, dopo il pestaggio, piuttosto che andare al pronto soccorso ha preferito raccogliersi dentro il suo sacco a pelo. Forse mentre l’emorragia cerebrale e polmonare lo uccideva, avrà pensato che non era niente, che il giorno dopo, quando si sarebbe svegliato, avrebbe trovato qualcuno con cui giocare a scacchi.

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