Montagna

L’idrologo: anche sulle Alpi la siccità sarà il «new normal» 

Il ricercatore dell’Eurac Giacomo Bertoldi. «Gli eventi siccitosi saranno sempre più frequenti, dovremo organizzarci per superarli». Le soluzioni: irrigazione mirata, nuovi invasi, coltivazione di specie meno bisognose di acqua. Servono politiche coordinate



BOLZANO. Solleone, temperature che sfiorano i 40 gradi. e non piove. Superata di nuovo, per la seconda volta, la soglia di attenzione dell’ozono. E in città è allerta rossa per il caldo torrido.

Ma questa estate rimarrà un caso isolato? «Gli studi indicano chiaramente che stagioni estive così siccitose saranno sempre più frequenti. Dovremo attrezzarci per potervi fare fronte». È la risposta fornita da Giacomo Bertoldi, ingegnere idrologo, ricercatore dell’istituto per l’ambiente alpino di Eurac, dove al riguardo esiste un nutrito team multidisciplinare. «Attualmente - racconta - sta terminando un progetto Interreg cui hanno partecipato vari paesi alpini. Siamo stati profeti sulla tematica della siccità alpina. Al momento, anche grazie all’osservatorio europeo, si sta scoprendo in maniera drammatica che la siccità non è un problema relegato alle regioni mediterranee, alle zone di pianura».

Le ricerche

«Nel report 2018 avevamo evidenziato proprio questo rischio». Quest’anno, c’è stata una combinazione di eventi. «Bisogna stare sempre molto attenti agli influssi del tempo sul clima: in questo caso un inverno secco e un’estate calda, una combinazione di eventi, una congiuntura meteo particolare. L’anno prossimo potremmo avere un’estate piovosissima». Gli studi, però, «dicono che situazioni come quella attuale diverranno sempre più frequenti».

Per questo, prosegue, «dobbiamo prepararci a creare strumenti adatti a gestire questo tipo di eventi in maniera ottimale. Nei prossimi 50-100 anni questa sarà la nuova normalità». Quest’anno, precipitazioni molto inferiori alla media (circa -40%), poca neve in montagna, un’estate estremamente calda con temperature massime avviate in fondovalle verso i 40 gradi. «L’ondata siccitosa riguarda tutta l’europa centrale e in particolare l’arco alpino, in maniera più acuta l’occidentale. In Alto Adige soffre la Venosta, un po’ meno le Dolomiti, che hanno ricevuto un po’ più di precipitazioni».

Più vulnerabili

Le conseguenze più gravi da noi sono il rischio incendi e la scarsità idrica, che colpisce però soprattutto le zone a valle della nostra regione, le pianure venete e lombarde. Urge però chiarire un punto: «Quello che si nota non è che stia aumentando la frequenza della siccità, quanto piuttosto che gli eventi siccitosi si verificano con un clima più caldo e questo crea più problemi. Stiamo diventando più vulnerabili».

Per tentar di risolvere? «Esistono vari strumenti», chiarisce Bertoldi, «sia tecnologici sia di coordinamento». Si possono «fare interventi tecnologici per rendere più efficiente l’irrigazione, misurando con precisione l’umidità del terreno. Possibile poi una serie di interventi per il risparmio idrico migliorando le reti, soprattutto in pianura padana, dove sono meno efficienti. Alcuni invasi potrebbero essere gestiti non solo per finalità idroelettriche ma anche per lo stoccaggio dell’acqua. Questo avrebbe naturalmente dei costi economici».

Gli strumenti

Anche perché le società idroelettriche, «per lo più private, sono restie a rilasciare quest’acqua, dal loro punto di vista non sfruttata in maniera ottimale». Sarà poi necessario realizzare nuovi invasi di stoccaggio, «ma questo avrà dei costi ambientali». Soluzioni legate ai cambiamenti climatici riguardano pure le tipologie di specie sfruttate in agricoltura. «Dovremo chiederci se abbia senso continuare a coltivare i meli da noi e il riso in pianura o se invece in futuro dovremo adattarci, introducendo specie meno bisognose di acqua; in questo senso si potrebbero per esempio cambiare le varietà di viti».

Le competenze

Un problema concreto è poi rappresentato dal coordinamento delle competenze sull’acqua, oggi molto frammentate. Ogni Comune può emettere ordinanze per restringere l’uso dell’acqua, secondo modalità differenti. «Le decisioni non dovrebbero essere prese su base politica ma conoscitiva: misure, quantitativi. Si deve sapere se la tal misura crea effettivamente benefici o meno».

Pure l’idroelettrico sta cominciando a studiare il problema. «Il settore idroelettrico è privato e tende a tenere le informazioni all’interno. Negli ultimi anni però come idrologo vedo che comincia a esserci consapevolezza. Si fanno studi sull’impatto climatico sul tal lago, se avrà così tanta acqua a disposizione o meno. Il mercato è molto orientato al profitto a breve termine, fanno fatica a programmare a lungo termine. Ma c’è un inizio di consapevolezza». DA.PA.













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