L’infermiere volante dà l’addio al Pelikan: Maurizio Tomanin "scende" dall'elicottero

Il soccorritore del 118: "A 55 anni torno in centrale ma le emozioni restano"


di Massimiliano Bona


BOLZANO/MERANO. Gli è sempre piaciuto volare alto, nella vita come nel lavoro, ma da martedì Maurizio Tomanin - una laurea in infermieristica e il delicato ruolo di vice coordinatore del 118 - rinuncerà al suo fedele compagno di viaggio degli ultimi 18 anni, l'elicottero, per dedicarsi "solo" alla centrale operativa, all'ambulanza e alla passione contagiosa per i cavalli (fa lo starter nelle gare di galoppo). Con 3 mila interventi alle spalle (una media di 4-5 al giorno) ha imparato a difendersi anche dalle tragedie. «Quando finisci il turno stacchi la spina ma la regola d'oro è vivere ogni singola giornata come fosse l'ultima».

Nel mondo dell'elisoccorso, prettamente tedesco, è sempre stato considerato una mosca bianca («ho imparato il dialetto di tutte le valli» ndr), ma da qualche mese ha già individuato il suo successore, Marco Biasioni, a capo del soccorso alpino di Bolzano. Tomanin, invece, i primi corsi di li ha fatti alla scuola dell'Aiut Alpin.

Quando ha iniziato a fare l'infermiere?

«Nel 1979 all'ospedale di Merano, ma nel 1981 ero già a Bolzano. Ho passato alcuni anni nel reparto di urologia, poi al pronto soccorso, ma ho sempre avuto il pallino del volo, al punto da riuscire a riconoscere decine di città dall'alto. Per inciso l'idea era quella di fare il pilota».

Nel 1998, a 38 anni, la sua caparbietà è stata premiata. Come è diventato elisoccorritore?

«Tra le competenze del 118 c'è anche l'elisoccorso e ho deciso di fare la necessaria formazione, prima all'Aiut Alpin Dolomites e poi alla centrale operativa di Bolzano».

Ricorda il primo volo operativo?

«Certo, era il 1999 e mi sembra ieri. Poi ho inanellato quasi 3 mila interventi, con una media di 4-5 al giorno. C'era chi diceva - scherzando - che portavo iella perché la media all’elibase è solo di 3,5».

Ricorda l'intervento più brutto?

«Si, una decina di anni fa sulla Pala Santa, zona Obereggen-Latemar. Un bambino di 8 anni era finito contro un paravalanghe. La mamma, che era sulla pista, urlava senza smettere un secondo. C’erano 15 gradi sotto zero e lo abbiamo recuperato con il verricello. L'intervento è stato difficile, ma il ragazzino è morto poi in ospedale».

Quell'esperienza le ha insegnato qualcosa?

«Si, che avevo raggiunto il limite. Ho capito che per fare questo lavoro dovevo imparare a difendermi, a proteggere anche me stesso».

E l'intervento più bello?

«Un parto in elicottero, proprio sopra l'aeroporto, sei o sette anni fa. Era tardi e siamo andati a prendere una signora ad Aldino. Durante il volo la mamma era agitatissima e strillava. Contavamo di arrivare in ospedale perché lo spazio a bordo è davvero poco. Alla fine ha vinto il piccolo, che ha deciso di nascere prima...».

Tra le tante tragedie (alluvioni, frane ecc.) ce n'è qualcuna che ricorda in particolare?

«Le valanghe, in assoluto. Sono brutte davvero. Scavi come un matto e poi, spesso, trovi un paziente già morto. Resto colpito dal modo in cui ogni sciatore o scialpinista cerca di proteggersi. Lottano tutti fino alla fine, si fanno scudo con le mani sperando che qualcuno riesca a salvarli».

Per tanti anni lei è stato l'unico italiano nell'elisoccorso. Si è mai sentito una mosca bianca?

«Diciamo che sono stato una sorta di pioniere. Ho imparato tutti i dialetti, dal venostano al pusterese. Ma grazie all'educazione sono riuscito a farmi ben volere. L'esame di conoscenza del sudtirolese l'ho passato quando sono entrato al 118. Devi conoscere il territorio e riuscire a capire cosa dice chi è dall’altra parte del filo anche se bofonchia poche parole e il segnale è pessimo».

Quando farà il suo ultimo volo?

«Martedì, a 55 anni, chiudo con l'elisoccorso. Sono dell’idea che in tutti i lavori in cui è richiesto un forte impegno fisico bisogna darsi un limite. Rispetto al 1998, sebbene io mi senta un ragazzino, i riflessi e la forza non sono proprio uguali. Sono diventato anche più saggio, quasi troppo. Quindi, spazio ai giovani. Per sostituirmi sono già stati reclutati due infermieri...».

Quante persone ruotano nel team dell'elisoccorso?

«Due piloti, due tecnici, 8-9 medici e 4-5 infermieri. E il segreto è sempre il fattore umano. Quando sali in elicottero sai bene che la tua vita è nelle mani di un'altra persona».

Si è mai fatto male?

«Sono scivolato dall'elicottero al lago di Tovel, mentre facevamo un hovering, e mi sono lussato una spalla».

Cosa le mancherà di più?

«Volare, di sicuro. Mi resteranno, in compenso, i rapporti splendidi con carabinieri, polizia, soccorso alpino, Croce bianca e Croce rossa. La collaborazione è stata eccellente. Spesso, quando arrivi in elicottero, ti vedono tutti come una sorta di Dio in terra, e questo mi ha sempre aiutato».

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