L’orso Pippo e le leggende bolzanine 

Oggi alle 18 la facoltà di Design della Lub inaugura la mostra con installazioni che sono storie comuni


di Sara Martinello


BOLZANO. Un cocktail, una pelliccia d’orso, una cassetta di fiori. Una moka, una tenda di quelle che costruivamo da bambini con le coperte, un proiettore, una chitarra. Tutti oggetti piuttosto comuni, quelli che prendono vita attraverso le storie narrate da ventiquattro studenti della facoltà di Design della Lub per il progetto GOG (Gäste-Ospiti-Guests), una mostra che sarà inaugurata stasera alle 18 e che domani continuerà a occupare gli spazi del primo piano dell’Università dalle 11 alle 19. E d’un tratto ci si immagina di tenerlo in mano, quel cocktail, ascoltando un concerto in quel capannone che fu la Halle 28 in via Macello, sotto le luci ultraviolette con cui interagisce il libro del bolzanino Manuel Unterkofler. Oppure ci si ricorda dell’orso Pippo, simbolo del parco Petrarca ben oltre la sua tragica morte, avvenuta nel 1993: una scalinata alta poco più di un metro e venti fa da caverna a Irene Hohenwarter, opportunamente coperta da un’autentica pelliccia d’orso: «Sono di Innsbruck, ma ho sempre sentito parlare dell’orso Pippo da una mia zia bolzanina. Per la mia installazione ho fatto ricerche nell’archivio del quotidiano Alto Adige, raccogliendo in una brochure i titoli di giornale che si sono succeduti negli anni Ottanta e Novanta. La pelliccia me l’ha prestata l’Ufficio caccia e pesca» racconta.

Giorgio Camuffo, docente di Comunicazione visiva alla facoltà di Design e Arti e coordinatore del progetto insieme ai colleghi Gianluca Camillini e Valeria Burgio, spiega: «Inizialmente volevamo raccogliere, percepire le storie che vengono dalla città, in un incrocio fra tradizione e prospettive future. In realtà poi gli studenti hanno iniziato a raccontare le loro esperienze e il progetto ha cambiato direzione: sono diventate storie di relazioni personali, da cui però la città non è esclusa. Sono storie intime di cui essere gelosi, da sussurrare in un rapporto uno a uno. Col visitatore si sviluppa una conversazione, più che un racconto».

Ha tratti di verismo il libro realizzato da Riccardo Volpe, di Venezia, che parte da una leggenda metropolitana bolzanina per ricercare di riscattare il “rovescio della medaglia” scrivendo ciò che si racconta di una prostituta. Se la realtà del diverso viene spesso distorta come in uno specchio deformante dalla narrazione dell’odio, il libro di Volpe descrive ciò che le persone dicono, e non l’oggetto del chiacchiericcio, ponendosi come un antidoto. Di città apparentemente perfette ci parla Verena Teucher, che col suo Bella vita, un libro colorato, astratto, disordinato (in un modo tutto suo) sfida la città ordinata, in cui tutti sembrano divertirsi o perlomeno stare bene: «A volte mi chiedo perché mi senta a disagio: allora metto tra me e la città questo libro». A “sporcare” la città, che sia Vicenza o Bolzano, ci pensa il marcà, il mercato di La Teresa del marcà di Luca Testolin: «Teresa è mia madre, che tutti i giorni va al mercato. Ho osservato piazza Erbe, così i cartelli dei prezzi dai colori fluo sono diventati le pagine gialle, arancioni, rosa, e del cartone degli scatoloni è la copertina. Il mercato è terra, natura, città».

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