La famiglia: «Un errore inaccettabile»

L’ex moglie di Maestrini: «È stato un calvario terribile, e i nostri tre figli adesso sono senza padre»



BOLZANO. «Quello che è successo a lui, potrebbe succedere di nuovo a qualcun’altro». A parlare è Silvia Schifferegger, l’ex moglie di Maurizio Maestrini, morto a 53 anni, dopo che all’ospedale di Brunico si erano dimenticati per otto mesi di controllare la sua Tac, dalla quale emergeva che aveva un tumore alla vescica.

Silvia e Maurizio si erano conosciuti ancora ragazzi a Firenze. «Ero andata a studiare - racconta la donna, che ha assistito Maurizio negli ultimi mesi di vita -. Me ne sono innamorata subito. Maurizio era il mio grande amore. Il classico toscano. Siamo stati insieme per 25 anni. Dopo l’Università siamo venuti a vivere a Brunico. Quando ci siamo separati, lo abbiamo fatto da persone civili. Era il padre dei miei tre figli, quindi ho sempre avuto un buon rapporto con lui. Non solo: non avendo Maurizio parenti qui in Alto Adige, sono stata io ad occuparmi di lui quando si è ammalato». Silvia Schifferegger ieri era presente quando il giudice dell’udienza preliminare Silvia Monaco ha rinviato a giudizio per omicidio colposo l’urologo Helmuth Walter Schuster: «Il gup, quando ha chiuso l’udienza, ha detto: “Spero che questa tragedia sia una lezione per l’ospedale, affinché non avvenga mai più”. Maurizio era andato diverse volte al pronto soccorso. Poi, il primo aprile 2010, è tornato, chiedendo di vedere un urologo. Schuster ha fatto la visita. Dall’ecografia aveva notato qualcosa di strano e quindi ha detto a Maurizio di effettuare altre analisi. Due settimane dopo l’hanno chiamato per fare la Tac. Maurizio, subito dopo l’esame, ha chiesto agli infermieri dove avrebbe potuto prelevare il referto. Ma gli hanno detto che se c’era qualcosa di sospetto sarebbe stato l’urologo a chiamarlo». Per questo motivo Maurizio Maestrini non si allarma: dall’ospedale non è arrivata nessuna chiamata, quindi pensa si tratti di un’infezione resistente e fastidiosa. Invece no: «Gli inquirenti hanno controllato tutti i referti - prosegue la signora -. Il suo fu inserito lo stesso giorno, poche ore dopo. Ma l’urologo non l’ha guardato. Poi a luglio Maurizio ha iniziato a stare di nuovo male. Si è recato circa cinque volte al pronto soccorso. Niente, non è successo niente. Nessuno ha mai aperto quella Tac. Eppure era allegata alla sua cartella clinica. I primi di novembre si è recato poi nuovamente in ospedale e ha chiesto un’altra visita specifica. Uno choc. Il sostituto del dottor Schuster l’ha guardato e gli ha detto: “Ma mi scusi, nessuno le ha detto che lei ha un tumore? Nessuno l’ha chiamata?”. Gli è crollato il mondo addosso». Il 53enne, subito dopo, ha chiamato l’ex moglie che si è attivata per aiutarlo e sostenerlo: «A novembre 2010 hanno scoperto il tumore, il 19 settembre del 2011 Maurizio è morto. Gli hanno dato le cure migliori. È stato sottoposto a tre interventi. Ma era troppo tardi. All’inizio Maurizio non ha accettato la malattia. Poi, con il passare dei mesi, ha capito che quel tumore lo avrebbe ucciso. Gli ultimi mesi sono stati difficili. Soffriva così tanto. Non aveva più la forza di combattere. Ha fatto promettere ai suoi figli di non farlo più operare e di lottare affinché l’ospedale non potesse più commettere un errore così grave: dimenticarsi di guardare una Tac. Quando penso a Maurizio penso all’amore profondo che provava per i nostri figli. Li amava tanto. Il giorno che è morto. Sono andata a scuola e ho fatto uscire dalle classi i miei tre figli. Quando mi hanno vista, hanno capito e sono scoppiati a piangere. Ho guardato io stessa la mail che conteneva il referto. Non c’era sistema di allerta, un punto rosso, un punto esclamativo. Niente. Il sistema va cambiato, per evitare che accada di nuovo». (s.p.)

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