Carovita

La guerra alimenta il caro-pane: 20 centesimi al giorno in più

Gli effetti della globalizzazione: la Cina ha acquistato il 70 per cento del mais, il Nordafrica importa il grano dall’Ucraina. Sandro Pellegrini (Unione): «La farina non mancherà, il problema è il costo». Carta alle stelle, per gli imballaggi si torna alla plastica


Sara Martinello


BOLZANO. Cinque centesimi al giorno non sono molti, se rapportati al rincaro di gas, energia, benzina. Venti, per una famiglia di quattro persone. L’andamento del prezzo del pane – già il più caro in Italia con 6 euro al chilo lo scorso novembre – ci dice qualcosa che va al di là dell’economia locale. Ci dice quanto siamo legati all’economia globale.

Le prime nozioni: i mulini altoatesini comprano la farina da Germania, Austria, Italia e marginalmente dalla Francia. Quasi nessuno acquista il grano per poi macinarlo. E la farina resta in magazzino per un paio di settimane, non per mesi. Il grano ora sul mercato è stato raccolto nel 2021, l’aumento dei prezzi sarà a fine 2022. «Importiamo da Russia e Ucraina solo il 5 per cento del fabbisogno annuale di farina», precisa Sandro Pellegrini, vicepresidente dei panificatori altoatesini dell’Unione commercio. I dati nazionali (fonte: Ocse) ci dicono che dall’Ucraina arriva il 3 per cento del frumento, il 15 del mais, il 63 dell’olio di girasole. I fertilizzanti provengono per il 7 per cento dalla Russia e per il 5 dall’Ucraina. Pellegrini prosegue: «Tendenzialmente il grano ucraino finisce nel Nordafrica. Con gli agricoltori in guerra e i campi incolti, i paesi nordafricani compreranno il grano dall’Europa». Il risvolto è doppio. Da una parte il prezzo crescerà, dall’altra si intensificheranno i flussi migratori, con nuove ondate di profughi.

«Una prima tornata di rincari l’abbiamo avuta a ottobre. Il 15-20 per cento. Uscita dalla pandemia, la Cina infatti ha comprato il 70 per cento della produzione annua mondiale di mais, il 60 del riso e il 50 del grano. Ha una riserva per 18 mesi. Vengono a mancare tutti i derivati del mais. Pochi giorni fa volevo comprare un bancale di olio di mais in più: il fornitore ha rifiutato perché altrimenti un altro cliente ne avrebbe avuto uno meno del solito. Stiamo arrivando a un nuovo rincaro, questa volta del 30 per cento, variabile a seconda della capacità di contrattazione del singolo panificio».

Sono difficili da reperire anche gli imballaggi: «Di cartoni non ne danno più. Se pensiamo che la Barilla sta riconvertendo gli impianti per passare dalle scatole di cartoncino ai sacchetti di plastica…» Se poi si ha un contratto con la grande distribuzione proporre un aumento dei prezzi è un’impresa: «L’aumentato prezzo dell’energia, dei mangimi e dei trasporti si riflette sul costo delle forniture producendo sul prezzo finale del pane un rincaro tra l’8 e il 15 per cento. Un aggiornamento dei prezzi in fase di contrattazione annuale è impossibile, se ci si ritrova un buyer inflessibile. Con i buyer locali, in provincia, è più facile trovare un accordo».

Per una persona che in ventiquattr’ore mangia 60 grammi di pane il rincaro è di 5 centesimi, dice Pellegrini, 20 se in famiglia si è in quattro. Per il cliente finale la variazione di prezzo incide meno che per il panificatore. Può aiutare il rapporto di fedeltà tra fornitore e panificio. E potrebbe calmierare i prezzi il piano di Coldiretti: contratti di filiera remunerativi per i produttori e il recupero di campi abbandonati permetterebbero di produrre altri 75 milioni di quintali in più di mais, grano duro e grano tenero. «Per contratto con i nostri mulini abbiamo la possibilità di scegliere la derivazione del grano, se comprarlo dalla Germania, dall’Italia... Se poi dovesse mancare il grano, ben venga il recupero di campi abbandonati. Quel che manca oggi però sono le uova e i fertilizzanti. E c’è tanta speculazione».













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