La guerra dei «piccoli» contro Benko

La nuova presidente dei negozianti: «Stiamo morendo e il Comune non ci aiuta. Combatteremo il mega progetto»


di Davide Pasquali


BOLZANO. Le quote rosa sbarcano, con grinta, in Confesercenti. Lei si chiama Teresa Mantese, origini venete, a Bolzano dal 1996, dove gestisce una profumeria. È la neo eletta presidente del settore commercio fisso dell’associazione di categoria altoatesina.

La volevano come presidente tout court della Confesercenti, ma il suo negozio di via Palermo non glielo permette. Però è una grossissima novità lo stesso, ché è la prima presidente donna. «Credo ci saranno dei bei cambiamenti, anche nel direttivo», annuncia. «Perché secondo me le donne sono più pratiche, meno teoriche, meno parlone. Cercano le soluzioni. Ora vorrei proprio che si lavorasse, non che si parlasse dei grandi eventi come è successo fino ad ora».

Cosa si deve cambiare?

«Sono convinta che l’amministrazione pubblica, come ci ha promesso finora solo a parole, debba rivolgere pari attenzione ai vari quartieri della città. Almeno pari a quella prestata al centro. C’è bisogno di tantissimi piccoli interventi. Devono finanziare tutto quello che hanno promesso. Lo devono fare, semplicemente perché altrimenti siamo destinati al deserto».

Cosa serve in concreto?

«Prima di essere eletta ho fatto il giro di tutti i rioni e ho scoperto tutta una serie di problematiche di cui non ero a conoscenza. Le sa solo chi ci vive. Parlo di una via Sassari con degli spazi anche discreti, ma strutturata male: piante, aiuole, barriere che non permettono un bel flusso. O di un Oltrisarco penalizzato tantissimo dal “senso unico”, nato temporaneo e poi diventato definitivo. Tante volte, per risolvere, bastano piccolissimi interventi, poco o per nulla costosi: togli quattro cassonetti e due piantine e cambia completamente tutta l’area. Se c’è una possibilità per salvare la tal zona, ora la percorreremo, assolutamente. Si deve vedere cosa si può fare. Dare tantissima importanza alla città nuova. Non solo per il problema commerciale, ma perché il commerciante piccolo svolge una funzione molto diversa dal mero vendere merce. Lo vedo tutti i giorni: la signora che passa e viene dentro in negozio, non compra niente ma mi racconta tutto del figlio. Un sacco di volte mi fermo fino alle 7.30, un quarto alle 8 per ascoltare le donne che raccontano la storia della loro vita. La grande distribuzione di certo non offre lo stesso servizio».

Col piccolo commercio, muore una parte della città.

«Non si può fare. Non è accettabile. Stiamo parlando del destino di migliaia di persone. Già ora ci sono 400 negozi chiusi».

Si sta facendo qualcosina con “In Corso” e “Four You”...

«Si deve considerare l’intera città; anche lo stesso centro ha i suoi problemi pratici, che non hanno niente a che vedere con Benko o il mercatino. Credo che tante volte ci sia proprio una mancanza di comunicazione: basta chiedere. Ma se nessuno chiede... Da quando esistono i centri commerciali naturali la cosa è diversa. C’è proprio un contatto diretto con il Comune e, in effetti, i risultati si sono visti. Dobbiamo creare un grosso centro commerciale naturale, sull’intera città. Mi impegnerò per creare sinergie in tal senso».

Ma il commercio come sta?

«Non è un segreto per nessuno: la mancanza di denaro liquido si fa sentire, in tutti i settori, nessuno escluso. In alcuni è devastante, in altri un po’ meno. Manca il denaro, la liquidità. Si prediligono le necessità, si tralascia il superfluo».

E i centri commerciali?

«Un’altra bastonata infinita per il piccolo: con le aziende non ha il potere contrattuale che ha la grande distribuzione. Il Comune aveva fatto un patto, in qualche modo, con Unione e Confesercenti: avevamo accettato il fatto che ci fosse il Twenty e poi il raddoppio del Twenty. Ma doveva finire lì, però. E invece poi c’è stata quella legge fatta apposta per Benko e adesso arriveranno delle cose... Spero si faccia un bel po’ di guerra e io sarò di certo una delle promotrici. Il discorso Benko non cambia solo l’assetto economico della città, ma ne cambia l’assetto sociale. Completamente. A mio giudizio, Comune e Provincia non possono svendere la città per trenta denari. Non è possibile, non è accettabile».

Ora si farà il referendum.

«Se lo fanno intanto significa che la cosa non è andata proprio liscia come speravano. Sono favorevole al referendum, anche se mi rendo conto che può essere un’arma a doppio taglio: il cittadino deve essere informato. Informare capillarmente, però, è molto difficile. La controparte ha più facilità, perché ha molta più disponibilità economica. Anche noi però abbiamo qualcosa in mente, di abbastanza impattante. Credo che dobbiamo impegnarci personalmente: tutti i commercianti che sono contrari o che capiscono a cosa andrà incontro Bolzano fra cinque anni, devono impegnarsi a dirlo ai propri clienti, ai propri vicini. A tappeto. Stiamo lavorando in questo senso. Ora interpellerò anche il nuovo governatore Kompatscher. Ci sembra una persona che ha molto a cuore il destino di questa terra. Vorrei fargli capire il nostro punto di vista, che non è nulla di astruso. È molto semplice: per chi viene fatto questo enorme cubo, a chi dà vantaggio? A Bolzano di sicuro no. A quei dieci speculatori edilizi e/o imprenditori e basta. Che vada bene o male. Dicono che sarà un’attrattiva. Se è un’attrattiva, cambierà Bolzano in un senso. Ma se è un flop, la cambierà in tutt’altro... In qualsiasi caso, dunque, per noi è no».

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