La lunghissima guerra  del parà Luigi Longhin, da fascista a partigiano 

Bolzanio. Possibile che a settantacinque anni dalla fine della seconda Guerra mondiale si possano ancora scoprire pagine inedite di quel fondamentale, drammatico capitolo della storia del Novecento?...



Bolzanio. Possibile che a settantacinque anni dalla fine della seconda Guerra mondiale si possano ancora scoprire pagine inedite di quel fondamentale, drammatico capitolo della storia del Novecento? Possibilissimo, perché la grande storia scritta dagli espertinon smette mai di arricchirsi di piccoli ma preziosi capitoli personali. Personalissimi come un diario appena pubblicato: quello che per decenni è rimasto, su vecchie pagine ingiallite, negli scaffali dei figli del protagonista, un bolzanino scomparso nel 2003 a 78 anni per i postumi di un incidente stradale. Si chiamava Luigi Longhin e aveva vissuto tre vite: la prima, quella con i suoi genitori e i suoi tre fratelli, nella casa natale di Cappella Maggiore (Treviso), la seconda come soldato dal 1937 fino al 1945, la terza dal 1945 fino alla sua fine, a Bolzano dove mise su famiglia con la moglie Rina e i figli Hilde e Silvano e dove è ancora ricordato per le sue doti umane e professionali (capufficio alle Poste).

La pubblicazione. La storia di Longhin, racchiusa nell’intenso diario che racconta la “sua” guerra dal 1942 al 1945, nei giorni scorsi è diventata un libro assolutamente per caso. Come per caso si sono aggiunte, negli ultimi decenni, tante pagine inedite della storia del Novecento. È andata così: Hilde Longhin, figlia del nostro protagonista, nella primavera del 2019 riceve una telefonata dal Veneto e a contattarla è il professor Lino Cusinato, uno storico che sta studiando appassionatamente la vita del vescovo e Beato trevigiano Giacinto Longhin e che sospetta legami parentali fra i Longhin bolzanini e l’illustre prelato. Hilde conferma la lontana parentela e rivela, al suo interlocutore che le chiede informazioni sul padre, che oltre ai ricordi personali c’è anche un diario che fa riferimento alle radici venete di Luigi. Incuriosito, il professore chiede a Hilde di poter vedere quelle pagine. Ne resta impressionato, ne parla con lo scrittore Gian Domenico Mazzocato dell’Istresco (Istituto per la Storia della Resistenza della Marca Trevigiana). E dallo stupore alla pubblicazione il passo è breve: il volume intitolato «Il 29 luglio quando che matura il grano» (sottotitolo: “Storia di un parà, da fascista e resistente”) esce nella collana dell’Istresco che ne cura la vendita oltre alla librerie dove il volumetto di 107 pagine è ordinabile (info: storia@istresco.org).

I due titoli. Il curioso titolo della pubblicazione firmata Luigi Longhin rimanda a un canto popolare alpino che lo stesso Longhin cita nel suo libro: si riferisce al 29 luglio del ‘42, data che segna la sofferta ma convinta mutazione del protagonista, da soldato dell’Italia mussoliniana a coraggioso partigiano. Per il suo diario, Longhin in realtà aveva scelto il titolo “Umane vicende di un parà in guerra”, e comunque non aveva mai cullato l’idea di pubblicarlo, anche se – ricorda la figlia Hilde, oggi residente ad Appiano – “negli ultimi anni avrebbe dato il suo consenso per due motivi che aveva ben chiari: il primo era l’obiettivo di fornire ai giovani un punto di vista personale sulla fine del Ventennio fascista chiarendo la differenza fra nazionalismo e patriottismo; il secondo obiettivo, portare a conoscenza degli italiani il contributo dell’Esercito nella liberazione dal nazismo che nel giorno del 25 aprile viene regolarmente ignorato. Voleva insomma sottolineare il ruolo di quei soldati che avevano avuto il coraggio di togliersi la divisa per indossare i panni dei partigiani”.

Soldato su vari fronti. Nel suo diario, Luigi Longhin ci racconta tre anni di peregrinazioni da quel fatidico 29 luglio citato nel titolo fino al luglio del 1945 quando ottenne di congedo definitivo e si avviò verso casa a rimettere assieme i cocci della famiglia prima di trasferirsi a Bolzano per crearsene una tutta nuova. Ma la sua rocambolesca “carriera” militare era iniziata ben prima, con un’esperienza che lui non descrive e che al lettore crea sicuro rimpianto. Perché? Ma perché immaginate lo stato d’animo di un ventenne di famiglia borghese benestante e fascista convinta, che nel 1937 mentre frequenta l’Istituto superiore di Enologia di Conegliano decide di andare a combattere la guerra civile di Spagna nelle file del dittatore Franco con l’obiettivo di rimediare i quattrini necessari a colmare i debiti creati dal nonno. Longhin, che aveva ereditato dalla madre l’indole egualitaria e le idee progressiste, non scrive una riga di quell’esperienza durata tre mesi, perché la vivrà come una colpa mai superata. Comunque, il giovane Luigi torna a casa, ma nuovi tracolli finanziari della famiglia lo costringono a emigrare a Napoli e a inventarsi il lavoro di maggiordomo presso una nobile famiglia partenopea nella quale avrà modo di fare la conoscenza anche di Enrico de Nicola, primo presidente della nuova Repubblica italiana. Quando rimedia i soldi per chiudere i nuovi debiti, torna a casa giusto in tempo per ricevere la lettera di arruolamento. Nel 1939 lo rimandano a casa perché l’esercito è male in arnese e non è pronto ad affiancare Hitler, ma un anno più tardi la guerra inizia anche per lui, prima come paracadutista della Folgore e poi come partigiano, in continuo movimento dalla Sicilia fino all’Appennino tosco-emiliano. Abbracciando valori che lo portano, nel dopoguerra, a impegnarsi in battaglie sociali e politiche e sindacali, sempre fedele ai suoi principi.

Il diario. Anche se la guerra del soldato Longhin – quella mondiale – era iniziata come per gli altri nel 1940, quella tutta da raccontare inizia nel luglio del 1942, nel momento in cui il nostro protagonista si trova a dover scegliere: o partire per il fronte russo con l’operazione Armir accanto ai nazisti, oppure cercare di entrare nel costituendo Corpo Paracadutisti diventato poi Folgore. Piuttosto che tuffarsi nel gelo del fronte russo, sceglie di buttarsi da un aereo dopo un lungo corso di formazione. Gustosi i dettagli sui test preliminari, e il racconto dei primi emozionanti lanci, alle prese con attrezzature obsolete. A partire dal lancio nel vuoto da una torre di ottanta metri con atterraggio frenato da alcuni commilitoni che avevano nelle loro mani le corde della vita stessa dei volontari. Fra i momenti più drammatici del racconto, quello del tentativo di attraversare lo Stretto di Messina assieme a migliaia di soldati italiani in ritirata che cercavano di sfuggire alle truppe alleate sbarcate in Sicilia. Sotto le bombe dell’aviazione inglese e americana, Longhin si salva ma è costretto ad assistere a un vero macello. Sbarca in Calabria e inizia un rocambolesco cammino in fuga attraverso l’Aspromonte, con il suo reggimento spesso affiancato da truppe naziste anch’esse impegnate a resistere all’avanzata del blocco occidentale. Fra gli episodi curiosi, quello in cui narra di aver cercato di entrare alla sede del quotidiano La Nuova Calabria, a Catanzaro, per “punire” i giornalisti colpevoli di aver definito “militari fascisteggianti e pericolo pubblico” il suo gruppo. Tentativo fallito, per fortuna. “Per convinzione e scelta morale sono antimilitarista: la guerra è fra le maggiori calamità che colpiscono il genere umano”, sottolinea Longhin nel suo diario. Al momento dell’armistizio lui e i suoi commilitoni sono allo sbando, fino a quando, nell’aprile del 1944, passano nel Corpo Italiano di Liberazione e, con le divise dell’esercito inglese al posto delle loro ridotte a stracci, frequentano un corso alla Battle School e si fanno paracadutare vicino alla Linea Gotica, per spingere i tedeschi sempre più a nord. E qui inizia il racconto del lungo peregrinare sull’Appennino fra piccoli villaggi a contatto con mobilissimi gruppi di partigiani, dormendo spesso all’addiaccio e sempre a caccia di un pasto incerto. Rischia la vita un paio di volte, fino a quel fatidico 17 maggio 1945 in cui gli consegnano il congedo definitivo. La guerra è finita.

L’epilogo. Luigi Longhin ci mette due giorni per raggiungere casa, a Cappella Maggiore. E lì il padre gli svela che le sue due sorelle, fasciste convinte, rischiano la vita, una nascosta a Venezia e l’altra nelle mani dei partigiani. Longhin va in “missione” e risolve entrambi i casi. Pochi mesi dopo è già a Bolzano, dove ha vinto il concorso per entrare alle Poste. Le ultime parole del diario? «Ho trent’anni compiuti, forse mi sposerò, forse avrò dei figli. Una cosa è certissima: con la naia è finita per sempre!».













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