La notte del Blasco: 7 mila in delirio al Palaonda di Bolzano

Una festa il primo dei due concerti di Vasco Rossi che dal palco dell'Europe Tour ha entusiasmato il pubblico


Fabio Zamboni


BOLZANO. Ore 20.59: il popolo di Vasco si fonde in un boato che esprime tutta l’attesa per il primo dei due concerti bolzanini del loro idolo. Ore 21.00: si spengono le luci, si accendono centinaia di display di cellulari e fotocamere pronti allo scatto. Ore 21.02: la mostruosa batteria di casse acustiche sospese spara note del Requiem di Brahms che scivolano all’improvviso nel suono lancinante della chitarra di Stef Burns. Poi appare Lui: jeans chiari, maglia nera e giubbotto di pelle, berrettino d’ordinanza e stivaletti texani.

Attacca “Ho fatto un sogno” e la festa incomincia. È uno show ad altissima energia, giocato su volumi e ritmi potenti ma anche su alcune perle acustiche. Tanta energia ma anche voglia di sana malinconia.

Dopo tre pezzi, il primo saluto: «Ciao Bolzano, ciao Bozen! Grandi montagne, splendidi palazzi: che meraviglia!». Insomma, grandi emozioni ieri sera al Palaonda, dove un pubblico dai 15 ai 60 ha riempito la sala come raramente è accaduto: oltre settemila ieri sera e altrettanti sono attesi questa sera per la replica. Grande musica, entusiasmo a mille, tutto che gira bene, conme direbbe, con semplicità, il protagonista: Vasco è in forma, cavalca in continuazione l’asta del microfono per riscaldare un’atmosfera che certi testi e certi ammicamenti rimandano al sesso (per tutto il concerto svolazza gaio sulle ottomila braccia del parterre un grande profilattico gonfiato a mo’ di palloncino). Il palco è tutto nero, semplice ma efficace, e si avvale di due schermi oltre a un fondale su cui scorrono i nomi dei musicisti, poi presentati personalmente da Vasco.

Le canzoni? Un viaggio lungo e completo fra le perle di una carriera trentennale: dai brani storici come “La nostra relazione”, prima canzone del primo album in vinile datato 1978, all’inedito “Ad ogni costo” passando per i superclassici “Delusa”, “Un senso”, Sally”, fino alla trionfale, transgenerazionale, storica ma sempre emozionante “Albachiara”, che chiude la festa.
Vasco è sostenuto da una band potente e affidabile: Stef Burns e Maurizio Solieri hano chitarre affilate; Glen Sobel alla batteria sostituisce degnamente in tutta la parte finale del tour il titolare (e infortunato) Matt Laug, fondendosi con lo storico basso di Claudio Golinelli. Gli altri - Clara Moroni ai cori, Andrea Innesto ai fiati, Alberto Rocchetti alle tastiere e Frank Nemola alla tromba - completano il sound potente ma anche generoso di raffinatezze che il Palaonda non riesce a maltrattare del tutto. Perché, finalmente, si può dire di aver “sentito” e non solo “ascoltato” un concerto rock al Palaonda, distinguendo le parole e gli strumenti.
Vasco era arrivato al Palaonda alle 19, con un’ora di ritardo: un «ciao» ai giornalisti poi si barrica nel camerino. «Stasera non ha voglia di parlare» dice la personal manager. Non canterà “Vivere” ma questa sera preferisce «restare spento». Per riaccendersi, evidentemente, sul palco.

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