La notte del Blasco: 7 mila in delirio al Palaonda di Bolzano
Una festa il primo dei due concerti di Vasco Rossi che dal palco dell'Europe Tour ha entusiasmato il pubblico
BOLZANO. Ore 20.59: il popolo di Vasco si fonde in un boato che esprime tutta l’attesa per il primo dei due concerti bolzanini del loro idolo. Ore 21.00: si spengono le luci, si accendono centinaia di display di cellulari e fotocamere pronti allo scatto. Ore 21.02: la mostruosa batteria di casse acustiche sospese spara note del Requiem di Brahms che scivolano all’improvviso nel suono lancinante della chitarra di Stef Burns. Poi appare Lui: jeans chiari, maglia nera e giubbotto di pelle, berrettino d’ordinanza e stivaletti texani.
Attacca “Ho fatto un sogno” e la festa incomincia. È uno show ad altissima energia, giocato su volumi e ritmi potenti ma anche su alcune perle acustiche. Tanta energia ma anche voglia di sana malinconia.
Dopo tre pezzi, il primo saluto: «Ciao Bolzano, ciao Bozen! Grandi montagne, splendidi palazzi: che meraviglia!». Insomma, grandi emozioni ieri sera al Palaonda, dove un pubblico dai 15 ai 60 ha riempito la sala come raramente è accaduto: oltre settemila ieri sera e altrettanti sono attesi questa sera per la replica. Grande musica, entusiasmo a mille, tutto che gira bene, conme direbbe, con semplicità, il protagonista: Vasco è in forma, cavalca in continuazione l’asta del microfono per riscaldare un’atmosfera che certi testi e certi ammicamenti rimandano al sesso (per tutto il concerto svolazza gaio sulle ottomila braccia del parterre un grande profilattico gonfiato a mo’ di palloncino). Il palco è tutto nero, semplice ma efficace, e si avvale di due schermi oltre a un fondale su cui scorrono i nomi dei musicisti, poi presentati personalmente da Vasco.
Le canzoni? Un viaggio lungo e completo fra le perle di una carriera trentennale: dai brani storici come “La nostra relazione”, prima canzone del primo album in vinile datato 1978, all’inedito “Ad ogni costo” passando per i superclassici “Delusa”, “Un senso”, Sally”, fino alla trionfale, transgenerazionale, storica ma sempre emozionante “Albachiara”, che chiude la festa.
Vasco è sostenuto da una band potente e affidabile: Stef Burns e Maurizio Solieri hano chitarre affilate; Glen Sobel alla batteria sostituisce degnamente in tutta la parte finale del tour il titolare (e infortunato) Matt Laug, fondendosi con lo storico basso di Claudio Golinelli. Gli altri - Clara Moroni ai cori, Andrea Innesto ai fiati, Alberto Rocchetti alle tastiere e Frank Nemola alla tromba - completano il sound potente ma anche generoso di raffinatezze che il Palaonda non riesce a maltrattare del tutto. Perché, finalmente, si può dire di aver “sentito” e non solo “ascoltato” un concerto rock al Palaonda, distinguendo le parole e gli strumenti.
Vasco era arrivato al Palaonda alle 19, con un’ora di ritardo: un «ciao» ai giornalisti poi si barrica nel camerino. «Stasera non ha voglia di parlare» dice la personal manager. Non canterà “Vivere” ma questa sera preferisce «restare spento». Per riaccendersi, evidentemente, sul palco.
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