La seconda vita di Ada: «Non mi compiango e lotto sempre» 

A un anno dal terribile investimento. Ada Cappelletti, 22 anni è riuscita a voltare pagina e a riprendere a pieno una nuova esistenza anche dopo aver saputo che non potrà più tornare a camminare «Inutile piangersi addosso e non voglio dover dipendere da qualcuno»


Paolo Tagliente


Bolzano. Quella mattina del 6 settembre dello scorso anno, Ada Cappelletti camminava spedita verso il lavoro. Il sole non era ancora sorto su quello che, qualche istante più tardi, si sarebbe rivelato come il giorno più importante della sua vita. Un giorno che avrebbe potuto essere l’ultimo - e c’è mancato davvero pochissimo - e che, invece, è stato il primo della nuova esistenza di Ada. Punto di svolta, il furgone che l’ha centrata in piena velocità, mentre attraversava via Volta sulle strisce pedonali, causandole lesioni gravissime al capo, costringendola a un’operazione di undici ore, a una successiva lotta di tre settimane nel reparto di rianimazione del San Maurizio e, infine, togliendole per sempre l’uso delle gambe. Chiunque si sarebbe disperato. Ma non Ada, 22 anni, un sorriso che brilla come il sole. Già poche settimane dopo l’incidente, dal suo letto d’ospedale, pur non ricordando nulla di quei drammatici istanti, aveva rivelato all’Alto Adige di non aver alcuna intenzione di arrendersi. «Quello che è accaduto è alle mie spalle – aveva spiegato, con il suo stupendo sorriso – e ha poca importanza. Mi hanno detto che, forse, in futuro, i ricordi dell’incidente riaffioreranno nella mia memoria. Ma non mi interessa. E non nutro nessun rancore nemmeno verso chi mi ha investita. Ora voglio pensare solo al futuro, andare avanti, fare progetti e realizzarli». Era seguito un lungo periodo di riabilitazione nel centro di Montecatone, specializzato nella cura di persone che hanno riportato gravi lesioni spinali e cerebrali. Lì, nella struttura di Imola, è purtroppo arrivata la sentenza definitiva sulla possibilità che Ada torni a camminare. Ma sempre lì, seguita dai migliori specialisti, Ada ha scoperto piano piano la sua nuova vita. Non peggiore o migliore di quella di prima, semplicemente nuova.

La nuova vita

Lo ha spiegato in maniera meravigliosa sul suo profilo Facebook, proprio il 6 novembre. «Molte persone mi chiedono spesso “Ada, detto sinceramente, da quando ti venivo a trovare in rianimazione, ad oggi ti ho sempre visto con il sorriso. Come diavolo fai?” La risposta è una. Da quando, in quel letto in rianimazione, i medici sussurrarono “non dovrebbe esser qui, è stata molto fortunata”, qualcosa è scattato in me e mi sono detta “va bene, prendo tutto quello che viene. Sono viva”. E così è stato. Credetemi se vi dico che è stata la scelta più bella della mia vita. Purtroppo viviamo in una società in cui l’essere disabile è visto come un maledettissimo svantaggio, ma vi posso assicurare che non lo è. Ho una vita normale, perché per un disabile vivere così lo è. Non è come prima, chiaro, perché le cose che facevo prima le ho dovute adattare e trovare un nuovo modo per farle, ma io vorrei scongiurare i pregiudizi che “sei in carrozzina, chissà cosa non puoi più fare”. Faccio tutto: mi vesto in carrozzina, vado in bagno, salgo in auto, esco, vado in bici, nuoto, posso guidare una macchina, posso addirittura ballare. Ma soprattutto – si legge più avanti – sono grata perché la disabilità mi ha fatto scoprire la persona che sono oggi. E ne vado fiera. Quindi si, il sei novembre del 2019 non è mai stata la fine, solo l’inizio».

Lo spirito della guerriera

«La mia vita è cambiata – spiega Ada –. Prima avevo una normalità, adesso ho un’altra normalità. Per le persone normodotate può sembrare diverso, ma per il mondo della disabilità è una vita normale. Non c’è una differenza sostanziale tra le due vite. Per fare ciò che facevo prima, anche le cose basilari, ho dovuto trovare un nuovo modo». Un “cambio di passo” non facile, che molte persone non riescono a compiere perché rimangono attaccati alla vita precedente e non accettano la nuova “normalità”. «È vero e mi dispiace davvero molto. Perché c’è davvero un mondo dietro la mielolesione e la disabilità. Montecatone mi ha insegnato che si può fare di tutto e che non esistono limiti. Spesso siamo noi a porci i limiti e siamo noi a non voler andare avanti. A Montecatone io ho fatto tiro con l’arco, nuoto, tennis, ping-pong, danza. Ho fatto davvero di tutto».

La terribile notizia

Proprio nella struttura specializzata imolese, Ada e i suoi genitori hanno ricevuto il responso finale sulle possibilità di tornare a camminare. «A Montecatone, dopo un mese dall’arrivo di ogni paziente – spiega Ada - si tiene una riunione in cui si fa il punto della situazione. Io ho una lesione completa e, quindi, non ho possibilità di camminare. Un po’ me lo sentivo perché, nei primi sei mesi, succede qualcosa, si acquisisce di nuovo un po’ di sensibilità. A me, invece, non è accaduto nulla e, anche in base a quanto mi dicevano gli altri, avevo intuito che la mia fosse una lesione completa».

Il segreto della rinascita

E da quel momento, invece di piangerti addosso, ti sei fatta forza e hai deciso di riprenderti la vita. «Sì. Non voglio si pensi che, di fronte ad una mielolesione, qualcuno debba darmi una mano. Io voglio essere autonoma. Mi sono impegnata e sono stata anche abbastanza veloce nel conquistare la mia autonomia. Ci sono giorni in cui un po’ di nostalgia c’è, penso sia normale. Ma quei giorni possono servire per dire “sono arrivata fino qui, posso fare di più. Non ho niente per cui piangermi addosso, quel giorno Dio o il destino mi ha salvato e, quindi, prendo il meglio di tutto. Dipende tutto da come io vivo la mia carrozzina, la mia disabilità, insomma. Se vivo male questa condizione, inevitabilmente la vivono male anche le persone che sono vicine a me. A volte ironizzo sulla mia carrozzina e vedo che anche gli altri sono più tranquilli». Una guerriera avevamo trovato in quel letto del San Maurizio, a poche settimane di distanza dall’investimento, e una guerriera, incredibilmente ancora più forte, abbiamo ritrovato un anno più tardi. Una guerriera fermamente intenzionata ad aiutare le persone che si trovano nella sua stessa condizione.













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